Il risparmio gestito ha visto un aumento delle masse per 6 miliardi di euro durante il mese di luglio. È un’ottima notizia perché suggerisce che gli italiani, nonostante tutto, stanno riuscendo a risparmiare? Non è tutto oro quel che luccica. In un’intervista al Corriere della Sera lo stesso presidente di Assogestioni dice che “in Italia il 25% dei risparmiatori possiede il 75% del risparmio”. Quindi, al di là di rallegrarsi per il dato positivo, la vera domanda che dovrebbe porsi Assogestioni è “perché il mercato del risparmio gestito continua a fare riferimento solo ai grandi risparmiatori”?
I dati pubblicati da Assogestioni mettono in luce un mercato in ripresa che, malgrado la crisi, ha registrato un continuo aumento dei capitali gestiti con un accumulo da inizio anno pari a 45 miliardi di euro. L’ottimismo che dovrebbe suscitare questo dato si infrange sull’informazione riportata dal presidente di Assogestioni: se il 25% dei risparmiatori possiede il 75% dei risparmi gestiti, allora è pretestuoso interpretare il dato della raccolta di luglio come un miglioramento della situazione economica delle famiglie italiane e un aumento della propensione al risparmio.
La realtà che emerge è che l’investimento in fondi comuni è riservato principalmente ai grandi investitori. Non stupisce? Invece dovrebbe! Il fondo comune è pensato per le esigenze del piccolo e medio risparmiatore, che potrà, infatti, beneficiare dei vantaggi offerti da un fondo ampio e diversificato acquistandone una piccola quota. Da cosa origina allora questa barriera?
All’origine della distanza tra i fondi comuni di investimento e i piccoli risparmiatori c’è innanzitutto un non-interesse economico di gran parte delle società di gestione, delle banche e delle reti di collocamento che hanno sempre scelto di concentrarsi sui grandi patrimoni in quanto più redditizi. Il risultato di questa impostazione è che molti fondi comuni di investimento hanno effettivamente soglie minime di ingresso elevate e costi di gestione rilevanti.
Questi ostacoli, seppure molto frequenti, non sono assoluti e comuni a tutte le società di gestione del risparmio. È, infatti, possibile trovare fondi con soglie di ingresso contenute (nell’ordine dei 100 euro o anche meno) e per quanto riguarda i costi di gestione esiste la possibilità di risparmiare utilizzando la cosiddetta modalità Execution Only.
Al di là delle barriere monetarie (in buona misura evitabili) rimane una diffidenza diffusa del risparmiatore verso i fondi comuni, con la convinzione che molto spesso le società di gestione facciano esclusivamente il proprio interesse e non quello del risparmiatore. Purtroppo è vero, come testimoniano le diverse cattive abitudini che riportiamo regolarmente su Risparmiamocelo, come i fondi a cedola “mangia risparmi” (lodati invece dallo stesso presidente di Assogestioni nell’intervista!) o il calcolo delle commissioni di performance. Attenzione però perché fare di tutta l’erba un fascio è semplicistico e soprattutto potrebbe essere controproducente: arrendersi alla falsa convinzione che l’investimento in fondi comuni sia riservato ai milionari e accontentarsi del conto corrente (o del materasso) non fa altro che accentuare il divario tra chi si prende cura dei propri risparmi e investe e chi vede il proprio capitale eroso dall’inflazione.
Come sempre è fondamentale informarsi e confrontare. E speriamo che nella prossima pubblicazione di Assogestioni ci dicano che, al di là di quanti miliardi entrano o escono dal mercato, anche i piccoli e medi risparmiatori investono in fondi comuni.