La piccola Svizzera coccola diversi miliardi di euro non dichiarati di non-contribuenti italiani. A fronte di un prospettato aumento dell’IVA, del mantenimento dell’odiosa imposta di bollo, dell’opprimente cuneo fiscale, come mai non si parla più del contrasto al segreto bancario e della fuga di capitali non dichiarati?
Nei giorni scorsi il Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti ha firmato un accordo con il Ministero delle Finanze svizzero che prevede la collaborazione delle banche elvetiche con il fisco statunitense. Le banche sono condannate al pagamento di multe sui capitali di cittadini americani esportati illegalmente in Svizzera, per un valore che va dal 20 al 50% del capitale sottratto al fisco, a seconda della data del trasferimento e della complicità più o meno attiva dell’istituto nell’operazione. L’accordo include anche quei capitali transitati dalla Svizzera verso altri paradisi fiscali. In caso di mancata collaborazione le banche rischiano di essere processate dalla giustizia americana (ed eventualmente condannate).
Si tratta di un grande traguardo raggiunto dagli Stati Uniti che dal 2009 hanno iniziato un’accanita guerra all’evasione fiscale. Le stime iniziali suggeriscono che le banche svizzere potranno essere condannate a risarcire un miliardo di dollari agli Stati Uniti. Inoltre, e certamente più importante, viene così minata la certezza del segreto bancario svizzero e vengono ridotti gli incentivi per le stesse banche ad accogliere (e attirare) capitale non dichiarato.
Come sappiamo da tempo, anche per l’Europa e l’Italia la presenza di un’enorme quantità di capitale non dichiarato nelle banche svizzere è sicuramente un tema della primaria importanza. Le stime, ovviamente imprecise ma che possono darci un ordine di grandezza, dicono che dei 2500 miliardi di euro gestiti dal sistema bancario svizzero riconducibili a cittadini stranieri, 800 miliardi sono di cittadini europei. La quota facente capo a residenti in Italia è stimata tra i 120 e i 200 miliardi. Queste cifre da capogiro evidenziano l’urgenza del problema! L’esportazione illegale dei capitali rappresenta infatti una piaga sociale in termini di mancato gettito fiscale e rappresenta inoltre una prassi fondamentale per l’economia criminale.
Non è certo una novità! Anzi. Negli ultimi anni, diversi governi, di ogni forma e colore, hanno impugnato la spada contro il segreto bancario paventando enormi benefici. A che punto siamo? Quanti euro sono rientrati in Italia? Quanto siamo riusciti a disincentivare l’evasione? Nulla di fatto. L’ultima offensiva, portata avanti dal Governo Monti si è infranta su una serie di difficoltà e ora il tema sembra essere finito nel dimenticatoio. La questione è di fondamentale importanza ma presenta una serie di caratteristiche delicate per cui non può più essere utilizzata solo come propaganda elettorale. Alcune di queste problematiche sono ad esempio il fatto che il provvedimento non può essere un salvacondotto per gli evasori, un ennesimo scudo fiscale, che fa sì cassa nel breve periodo ma strutturalmente costituisce un incentivo ad evadere. Inoltre è necessario colpire anche i capitali che sono transitati dalla Svizzera per essere poi depositati in altri paradisi fiscali, altrimenti le banche sposterebbero semplicemente i capitali in società fiduciarie offshore e risulterebbero pulite.
La ragione del successo dell’accordo con gli Stati Uniti, sorte che non era toccata neanche alla Germania, è che questi hanno un enorme potere contrattuale nei confronti del sistema bancario svizzero: nell’ipotesi in cui una banca venisse condannata, questa potrebbe essere esclusa dall’operare sul mercato americano con conseguenze economiche devastanti per la stessa. È evidente quindi che le banche svizzere non hanno nessun incentivo a concludere un accordo con l’Italia perché hanno molto poco da perdere da un’eventuale ritorsione, mentre allentare il segreto bancario significherebbe perdere un’enorme fonte di guadagni.
La dimensione del problema suggerisce quindi che una soluzione vada cercata a livello europeo. L’Unione europea potrebbe infatti esercitare le pressioni necessarie per spuntare un accordo favorevole. Tra un anno l’Italia sarà alla guida del Consiglio europeo ed è fondamentale che per quella data il Governo abbia trovato una soluzione al problema e raccolto consensi perché abbiamo tutto da guadagnarci e troppo da perdere dalla situazione attuale.