Con un fatturato di 80 miliardi di euro, il gioco d’azzardo regala un nuovo primato all’Italia. Il bel paese si classifica infatti primo mercato in Europa e terzo globalmente con dati sempre più preoccupanti. Qualcuno sta dicendo basta! Ma è lo Stato che deve fare qualcosa e rinunciare a tassare la disperazione di migliaia di disoccupati.
Cos’hanno in comune un parroco di una Comunità ligure e una barista di Cremona? Don Andrea Gallo e Monica Pavesi, partendo da strade molto diverse, sono giunti alla stessa conclusione: le slot sono una “peste” soprattutto per giovani e disoccupati e Don Gallo e la signora Monica hanno detto basta.
La battaglia di Don Andrea Gallo contro Nicole Minetti, ma soprattutto contro l’apertura di una sala giochi sul Lido di Pegli (Genova) è l’ultima delle notizie a far scalpore sulle testate nazionali ma è forse la prima ad avere risonanza con il grande pubblico. I pericoli legati alla dipendenza dal gioco d’azzardo legale sono ripresi periodicamente da giornalisti e psicologi ma con scarsi risultati.
Prima di Don Gallo, Monica Pavesi aveva deciso di rinunciare a ricavi (corposi) spegnendo le slot machines del suo bar, davanti alle quali sfilavano quotidianamente anziani, giovani e donne che nella vana ricerca del miraggio di una vincita si riducevano sul lastrico.
In Italia, il fatturato derivante dal gioco d’azzardo ammonta al 4% del PIL ovvero circa 80 miliardi di euro – rendendolo il terzo settore produttivo italiano dopo FIAT ed ENI. In un contesto economico come quello odierno ci si chiede perché lo Stato non intervenga a protezione di quei 2 milioni di cittadini a rischio (e 800mila già afflitti) di ludopatia, soprattutto considerando come la malattia del gioco colpisca le fasce deboli come i pensionati ed i disoccupati. Di questa afflizione di sono occupate anche Le Iene in numerosi servizi.
E lo Stato che fa? Per dirla con De Andrè: “Si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”, (Don Raffaè). La logica dietro l’introduzione sul territorio di 400 mila slot machines è quella di profitto a breve termine, di uno Stato con una doppia morale che non sopperisce alla mancanza di entrate in modo costruttivo.
Anche se l’approccio non è condiviso, la mera matematica alla base di questo fenomeno è drammaticamente semplice. Con un’imposizione fiscale pari a circa il 30%, lo Stato incassa dalle giocate ‘fisiche’ circa 12,5 miliardi di euro all’anno. Stupisce il fatto che questo principio venga però a mancare nel caso del gioco online che ha avuto, nel 2012, un giro di affari di 15 miliardi di euro dai quali il fisco ha incassato un misero 0,6%. Ma siamo bombardati da pubblicità e inviti a vincite certe sempre ed ovunque senza che lo Stato intervenga. Il gioco d’azzardo è ormai la prima attività online in Italia, che purtroppo coinvolge anche il 27% degli studenti tra i 12 e i 18 anni.
Ed è forse quest’ultima informazione demografica quella più sconcertante.
La buona notizia? Una sola: dopo IMU imposta di bollo, almeno quella sul gioco d’azzardo è una tassa facilmente evitabile. Basta non giocare e cercare invece di costruirci un futuro vero, in attesa che lo Stato si svegli ed investa nell’educazione, permettendoci di essere competitivi sul mercato globale del lavoro.
Risparmiamocelo.