Nella giungla di emendamenti che le forze parlamentari hanno presentato al disegno di legge di stabilità ce n’era uno che potrebbe portare grandi benefici ai risparmiatori correggendo le storture di una legge iniqua e discriminatoria, l’imposta di bollo sui prodotti finanziari. Tale emendamento, il 17.33, ha avuto una battuta d’arresto in commissione bilancio del Senato, dove è stato ritirato. Cosa ha affossato l’emendamento ostacolando questa occasione per liberarci da quegli aspetti dell’imposta che penalizzano il piccolo risparmiatore ed avvantaggia banche e Poste?
L’emendamento 17.33 (consultabile qui l’estratto dal sito del Senato) prevede l’abolizione della soglia minima di 34,2 euro e l’esenzione per i depositi di importi inferiori a 5.000 euro. Contestualmente si prevede l’aumento dell’aliquota al 2,5 per mille, a cui sarebbero soggetti i depositi per importi superiori a 5.000 euro. Tale impostazione ha due enormi pregi:
- L’abolizione del minimo elimina il carattere regressivo (e quindi anticostituzionale) della norma attuale, che vede un’imposizione molto più onerosa sul piccolo risparmio.
- L’esenzione sotto i 5.000 euro riduce, in parte, le discriminazioni tra i diversi strumenti finanziari, perché attualmente la norma avvantaggia i conti correnti, favorendo quindi banche e Poste.
Dopo essere stato presentato alla Camera, arrivato in commissione bilancio del Senato, nella seduta del 18 novembre, l’emendamento è stato ritirato. Che cosa è successo?
Nella realtà che viviamo oggi il risparmio è una risorsa sempre più scarsa e il livello minimo di consapevolezza finanziaria fa sì che le famiglie dipendano sempre più dalle banche nelle loro decisioni. Un’imposta che tassa pesantemente il piccolo risparmio e convoglia i capitali verso conti correnti bancari e postali non fa che aggravare questa situazione. L’imposta minima nella misura dei 34,2 euro impone una tassazione regressiva su tutti quei risparmiatori che investono un capitale inferiore a 22.800 euro. Risultato, se disponi di un capitale elevato hai a disposizione una pluralità di strumenti tra cui poter scegliere, altrimenti tali strumenti diventano meno accessibili, ed il tuo risparmio sarà convogliato verso conti correnti con una remunerazione molto bassa e con costi occulti spesso elevati, aggravando in questo modo il divario tra chi ha e chi non ha. Oltre ai conti correnti, l’impiego che le scelte del legislatore sembrano suggerire per il piccolo risparmio è il gioco d’azzardo, sempre più diffuso e tassato lievemente. È evidente che la norma così fatta, regressiva, anticostituzionale, discriminatoria, opprimente verso il piccolo risparmiatore, ha invece un impatto estremamente positivo per il settore bancario, le Poste e l’industria del gioco. Non è che ancora una volta l’agenda politica risponda alle esigenze delle lobby piuttosto che a quelle dei cittadini?
Si presenta al momento la grande opportunità di intervenire sulla norma prima che questa sia approvata nella legge di stabilità. Il risultato più auspicabile sarebbe che venissero reintrodotti il prima possibile i punti dell’emendamento 17.33, eliminando quegli aspetti della norma che fanno pagare di più al piccolo risparmiatore e che favoriscono banche e Poste, abolendo quindi il minimo ed esentando i depositi sotto i 5.000 euro. Inoltre l’aumento dell’aliquota sui depositi più elevati al 2,5 per mille sosterrebbe il gettito per lo Stato.
Certo è che il costo politico e sociale di una totale inazione a riguardo sarebbe enorme. Quale partito politico potrebbe, tacendo, essere di fatto accondiscendente con una norma che costituisce una patrimoniale sui più poveri, viola gli articoli 47 e 53 della Costituzione, penalizza il risparmio e favorisce apertamente le banche e le Poste? Se non si facesse nulla per modificare i punti più vergognosi della norma saremmo di fronte, per l’ennesima volta, ad un’operazione finalizzata a fare cassa facile su coloro che possono difendersi di meno, favorendo al contempo le banche e la lobby del gioco.
Risparmiamocelo!