Rimani sempre aggiornato

Per te, ogni due settimane, una selezione dei migliori articoli del blog.

Informativa ai sensi dell'articolo 13 del D.lgs. 196/03

Seguici

Ricchi o poveri?

Ma siamo ricchi o siamo poveri? La ricchezza degli italiani è superiore a quella dei tedeschi ma un italiano su tre è a rischio povertà. Questi messaggi, in apparenza contraddittori, mettono chiaramente in luce le profonde fratture che caratterizzano il paese e che dovrebbero indirizzare l’agenda politica.

di Luigi Ripamonti - 13 Dicembre 2013 - 5'

Ma siamo ricchi o siamo poveri? La ricchezza degli italiani è superiore a quella dei tedeschi ma un italiano su tre è a rischio povertà. Questi messaggi, in apparenza contradditori, mettono chiaramente in luce le profonde fratture che caratterizzano il paese e che dovrebbero indirizzare l’agenda politica.

L’ultima istituzione a esprimersi sul tema è Eurostat, che propone l’aggiornamento dei propri dati sul rischio di povertà ed esclusione sociale in Europa. In Italia nel 2012, il 30% della popolazione, quasi un individuo su tre, è a rischio povertà. L’indicatore considera fattori quali il reddito, la ristrettezza materiale (incapacità di pagare affitti o mutui, di fare fronte a spese impreviste, di avere un’alimentazione ricca e sana, di acquistare beni durevoli) o il vivere in famiglie a bassa intensità lavorativa.
Il dato italiano, peggiorato dal 2011, appare preoccupante anche in chiave comparativa: la media per gli stati dell’area euro è del 23% e per l’Europa allargata è sotto il 25%. Emerge quindi una situazione di estrema fragilità economica e sociale del paese, che è estremamente dipendente dal reddito da lavoro e fa fatica a fare progetti sul futuro. (Ingrandisci l’immagine)

Ma non eravamo ricchi? Durante gli scorsi mesi avevano destato interesse (anche il nostro) le statistiche sulla ricchezza delle famiglie che ci vedevano alle prime posizioni in Europa, addirittura meglio della Germania. Un po’ di cautela è d’obbligo però nell’analizzare il dato: da un lato questo non tiene conto della quota di debito pubblico che ha contribuito a creare quella ricchezza e che andrà ripagato in futuro e soprattutto dà informazioni sulla ricchezza media, la ricchezza totale netta in mano alle famiglie diviso il numero di famiglie italiane, ma nulla dice sulla sua distribuzione.

Dalla pubblicazione annuale di Banca d’Italia emerge che nel 2010 il 10% delle famiglie più ricche deteneva il 46% della ricchezza totale e la quota di ricchezza detenuta dalla metà meno abbiente delle famiglie non superava il 10% del totale. È questa purtroppo la chiave di lettura per conciliare entrambi i dati: siamo sia ricchi che poveri (o né ricchi né poveri) ma viviamo in una società segnata da forti fratture sociali ed economiche.

A determinare, e aggravare, questa situazione vi sono innanzitutto fattori di reddito, diminuito durante la crisi, e di struttura del mercato del lavoro. Questa è caratterizzata da una forte dualità che vede contrapposti due universi di lavoratori. Da un lato quello dei giovani (e meno giovani) più o meno qualificati che partecipano al mercato del lavoro con forme contrattuali flessibili e a breve termine, soggetti a forte incertezza circa la stabilità del posto di lavoro e del reddito e soprattutto in una situazione di garanzie statali inadeguate in caso di perdita del lavoro. Dall’altro lato vi è quell’universo di lavoratori dipendenti, tutelati indipendentemente da impegno e risultati.

Un altro canale che contribuisce all’accumulazione di ricchezza è ovviamente il risparmio. È quasi tautologico osservare che per farlo ripartire sia necessaria una politica a sostegno dei redditi che passi attraverso la detassazione del lavoro, ma vi è al momento una stortura del sistema che disincentiva il risparmio delle fasce meno abbienti. La struttura regressiva dell’imposta di bollo sugli strumenti finanziari rende, di fatto, più costoso il risparmio per chi accantona cifre contenute che vengono quindi convogliate sui conti correnti.
Oltre alla chiara impostazione anticostituzionale gli effetti della norma sono paradossali: chi ha meno lascia i risparmi sui conti correnti, remunerati a tassi molto bassi (e inferiori all’inflazione), chi invece ha a disposizione somme ingenti può investirle sul mercato dei capitali, accrescendo ulteriormente il proprio patrimonio.

Come delle faglie che si allontanano, le diverse fratture economiche e sociali stanno sempre più polarizzando la società e, a prescindere dai numeri, gli effetti di questo fenomeno sono sotto gli occhi di tutti, nella difficoltà di arrivare a fine mese, nell’incertezza sul presente e sul futuro, e nel disagio che emerge quotidianamente. Per quanto ancora la politica sarà impegnata a scegliere il nome nuovo da dare all’IMU?

Potrebbe interessarti anche:

L’IMU oscura il pubbilco dibattito

Rimani sempre aggiornato

Per te, ogni due settimane, una selezione dei migliori articoli del blog.

Informativa ai sensi dell'articolo 13 del D.lgs. 196/03