40,6 miliardi di dollari. È il fatturato di Facebook nel 2017.
2 volte più di McDonald’s, 3 volte più di Mastercard, 4 volte più di Netflix, 8 volte più di Tiffany e 10 volte quanto fatto da Tripadvisor.
In molti pensano a fare soldi tramite Facebook, in pochi capiscono effettivamente come Facebook faccia i soldi. Come disse quel genio di Warren Buffett, “se il prodotto è gratis, è molto probabile che il prodotto sia tu”. In questo caso, sono le tue informazioni personali.
L’advertising è la primaria fonte di reddito per Facebook: il 98% dei ricavi proviene dalla pubblicità. Ed è sempre più in crescita quella fatta tramite dispositivi mobile, come si vede dal grafico in basso.
Non deve sorprendere se adesso tutti i nodi sono venuti al pettine. Facebook e il suo fondatore Mark Zuckerberg sono al centro di uno scandalo sui dati personali legato alla società di consulenza e marketing Cambridge Analytica.
L’accusa mossa a Facebook è quella di aver fornito dati personali a Cambridge Analytica relativi ad oltre 50 milioni di utenti iscritti. La vicenda ha gettato tantissime ombre sull’efficacia della custodia e della protezione dei nostri dati personali sui social network.
Ma quanto potrebbero valere i nostri dati personali sulle app e sui social?
Parliamo innanzitutto dalla loro importanza. Pensaci per un secondo. Le tue ricerche su Google, i tuoi profili sui social media e persino la tua cronologia degli acquisti su Amazon potrebbero valere di più ogni altra materia prima del mondo. Le app possono registrare la tua posizione, le telefonate che fai e ricevi, le fotografie che scatti e con chi le condividi e così via.
I dati forniscono una visione dettagliata e completa delle nostre abitudini e del nostro stile. Si tratta di informazioni che gli inserzionisti e le società di marketing, come Cambridge Analytica, pagano per averle.
Bastano 150 “mi piace” su Facebook, per conoscere un individuo alla pari di un familiare stretto. Con 300 like, Facebook è già in grado di conoscerti meglio del tuo coniuge.
L’Economist ci aveva visto lungo qualche anno fa, quando disse che “i Big Data – non il petrolio – sono oggi diventati la risorsa più preziosa del mondo”.
Se potessi vendere i tuoi dati personali, quanto saresti disposto ad accettare?
Assegnare un valore monetario ai dati personali, non è semplice. Ma qualcuno ci ha provato.
Un gruppo di ricercatori1, tra cui tre italiani, hanno scoperto che le persone sarebbero disposte a vendere la cronologia delle loro attività sullo smartphone per 2,72 dollari al giorno. E cioè oltre 80 dollari al mese e quasi mille dollari all’anno.
Per ottenere questa risposta, i ricercatori hanno dato a ciascun partecipante uno smartphone che registrava le chiamate in entrata e in uscita, la geolocalizzazione, il numero di foto scattate e le ricerche sul web.
Ogni settimana sono state organizzate delle aste per la vendita dei dati personali. In totale, i partecipanti sono stati coinvolti in 596 aste durante un periodo di 60 giorni.
Un’altra scoperta curiosa è che non tutti i partecipanti hanno valutato i loro dati personali allo stesso modo. Infatti, le persone che viaggiano di più ogni giorno tendono ad attribuire maggior valore alle proprie informazioni personali.
Questo studio è stato uno dei primi esperimenti che indaga sul valore monetario che gli individui assegnano alle proprie informazioni personali. Se da un lato risulta chiara la crescita di attenzione dei consumatori verso la privacy, da un altro potrebbero già esistere i presupposti per la creazione di un mercato dei dati personali.
Per chi mastica un po’ di inglese, (basta quello delle scuole elementari), c’è un test che ti dice quanto saresti disposto a vendere i tuoi dati personali. D’altra parte nella vita, a tutto c’è un prezzo.