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Produttività: la vera sfida per uscire dalla crisi

Un fallimento nelle riforme strutturali a lungo termine volte ad aumentare la produttività sta danneggiando la capacità dell'economia globale di migliorare gli standard di vita, ridurre la disoccupazione e generare un'adeguata capacità di recupero in caso di nuove crisi economiche.

di Lorenzo Saggiorato - 15 Giugno 2016 - 4'

Come rilevato recentemente dall’OCSE, le cause dei bassi tassi di crescita economica globale non sono da imputare solamente alla difficoltosa uscita dalla crisi economica e finanziaria ma anche al rallentamento della produttività del lavoro.

Negli ultimi decenni, infatti, si è assistito a un brusco rallentamento della produttività in quasi tutte le economie più avanzate e in molti paesi emergenti. Questo sembra paradossale se si pensa che siamo in un’epoca di radicali trasformazioni e che i miglioramenti tecnologici e l’innovazione dovrebbero far fare enormi passi in avanti alla produttività.

In questo scenario l’Italia è una delle economie più in ritardo. Secondo le statistiche, il declino della produttività nel nostro paese affonda le sue radici addirittura dalla fine degli anni ’70.

Dal 2000 a oggi, la produttività di tutti i settori è cresciuta dell’1% in Italia, contro il 17% dei nostri maggiori partner europei. E nei settori manifatturieri il divario si allarga ancora di più.

Cercando di semplificare, la produttività è un indicatore della competitività di un paese, ed è misurata come rapporto tra il Pil e il numero degli occupati impiegati nell’economia. La produttività risponde dunque ad una semplice domanda: quanto produce ogni lavoratore?

Perché l’Italia ha perso terreno su crescita e produttività? Che cosa ha determinato il netto distacco rispetto ad altri paesi?

Una delle argomentazioni più utilizzate è quella del trend negativo degli investimenti, in particolare in quelli in infrastrutture a sostegno alla ricerca e alla valorizzazione della conoscenza.

L’Italia ha una minore propensione all’investimento in ricerca e sviluppo, solo lo 0,7% del Pil, rispetto alla media europea che è pari all’1,3% del Pil. Inoltre in Italia si impiegano meno addetti in questo settore (4,1unità per mille abitanti) rispetto a quanto si fa altrove (5,4 per mille; dati Istat).

Il sistema Italia è in ritardo nell’innovazione, specie quella più “digital” che fa riferimento al nuovo concetto di industria 4.0, spesso tradotta in rivoluzione di processi, di tempi e di modalità distributive.

Su questo punto, un recente articolo dell’Economist evidenzia come la produttività in Italia non sia cresciuta a causa di un’economia troppo ancorata alle sue eredità e tradizioni. La rivista britannica ha puntato il dito verso un’eccessiva “sacralizzazione del made in Italy” che ha portato i produttori a preferire la massimizzazione delle rendite dei prodotti e marchi di qualità trascurando quasi completamente l’innovazione strategica e tecnologica, mentre la vera sfida attuale è creare sinergie tra tradizione e innovazione. Tutto ciò, ha fatto emergere alcune criticità e comportato enormi svantaggi. Per riuscire a comprendere cosa significa facciamo un esempio: pur essendo gli inventori di un prodotto come la pizza, le catene che ottengono profitti maggiori dalla vendita di questo prodotto si trovano all’estero.

Ma il ritardo non dipende solamente dalle scelte imprenditoriali. In un articolo di Ricolfi su ilSole24Ore, il declino in produttività viene ricondotto al complesso di esternalità, inefficienze e ritardi che caratterizzano alcuni rami del nostro quadro economico. Un recupero della produttività dunque, potrebbe partire solo grazie a una maggiore efficienza della burocrazia e pubblica amministrazione e da una giustizia civile più snella e veloce.

Ultimo ma non meno importante, è il tema riguardante gli scarsi finanziamenti alle imprese da parte delle banche, combinato con l’incertezza degli imprenditori sulle future condizioni economiche che generano un circolo vizioso che impedisce una ripresa degli investimenti, fattore necessario per una definitiva uscita dalla crisi.

Secondo l’ultimo Documento di Economia e Finanza, gli scenari di crescita per il 2016 sono positivi (Pil in crescita dell’1,2%, deficit in discesa al 2,3% e debito in calo al 132,4%). Nonostante questi numeri, la produttività e l’occupazione restano ferme al palo.

Nel 2015 la produttività del lavoro (calcolata sul numero degli occupati) è cresciuta dello 0,2% mentre quella calcolata sul numero delle ore lavorate è stata in calo dello 0,1%.

Il monito lanciato dall’OCSE può essere colto come un segnale per dar risveglio alla produttività attraverso riforme strutturali, maggiori investimenti, maggiori sforzi sull’innovazione di processo e prodotto, maggiore apertura ai mercati finanziari, al dinamismo e all’internazionalizzazione delle imprese.

Il risveglio da un lungo sonno è ciò che tutti auspichiamo al fine di ridare la linfa vitale all’apparato produttivo, alla competitività internazionale e contribuire alla ripresa economica del Paese.

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