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Nel 2019, l’Italia potrebbe trovarsi in recessione come Argentina e Turchia. È il monito lanciato dall’ultimo economic outlook dell’OCSE, l’organizzazione internazionale con sede a Parigi. Anche il Fondo Monetario Internazionale, nel suo ultimo rapporto dedicato all’Italia, ha avvertito sull’aumento dei rischi di recessione per l’economia tricolore.
Si prevede infatti che nel 2019, il tasso di crescita del prodotto interno lordo italiano sarà negativo e pari al -0,2%. Tra i paesi del G20, questa stima proietterebbe l’Italia al terz’ultimo posto, davanti appunto a Turchia e Argentina. Se le previsioni dell’OCSE dovessero realizzarsi, si tratterebbe del peggior anno dell’economia italiana dal 2013.
Il sentimento negativo che ruota attorno alle sorti economiche dell’Italia prosegue ormai da circa un anno. Con l’insediamento del nuovo governo M5S-Lega, definito da più parti come populista e anti-europeo, l’Italia è tornata prepotentemente sotto la luce dei riflettori mediatici.
Tuttavia, sia l’Ocse sia il Fmi affermano che i rischi di una recessione per l’economia italiana riflettono il rallentamento della crescita e del commercio globale.
Da un’analisi più attenta, infatti, si può notare che il paese che ha subito il calo più evidente della crescita economica è la Germania. Da gennaio 2018 a gennaio 2019, il tasso annuale di crescita dell’economia tedesca è crollato dal 2,8% allo 0,6%.
Le ragioni sono facilmente intuibili: un’economia fortemente improntata sull’export e sul surplus della bilancia commerciale entra in crisi quando il commercio mondiale rallenta.
La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, rispettivamente prima e terza destinazione dell’export tedesco, ha rallentato bruscamente la macchina produttiva della Germania.
E se la Germania soffre, anche l’Italia ne paga le conseguenze. La Germania è il primo partner commerciale dell’Italia e ogni anno importa circa 55 miliardi di euro di prodotti Made in Italy. Se a questo aggiungiamo l’indebolimento dei rapporti politici e commerciali con gli Stati Uniti, che assorbono il 9% del nostro export, e l’irrisolta questione della Brexit per la Gran Bretagna, che accoglie il 5% delle nostre esportazioni, allora il quadro è al completo.
Il grafico in basso mostra le quote di export tra i principali paesi europei. Ad esempio, oltre 40% dell’export italiano era rivolto verso Germania (in verde), Cina (in blu) e Gran Bretagna (in arancio).
Qui invece si può vedere invece la pesante riduzione del volume delle esportazioni europee e degli ordini produttivi nell’ultimo anno.
In un contesto abbastanza debole a livello globale, ritrovare la strada della crescita è un’impresa molto ardua per l’Italia e l’Europa.
Esaurite le cartucce della politica monetaria ultraespansiva con la fine del Qe, l’unica arma disponibile rimane quella la politica fiscale. Ma l’impianto su cui poggia le basi l’Unione Europea impone ai Paesi Membri stringenti regole di bilancio e, nello specifico, che il deficit non oltrepassi il 3% del Pil.
Come sostiene l’ex economista del Fmi, autore del best-seller “EuroTragedy”, Ashoka Mody, è errato oltre che controproducente continuare ad imporre politiche di austerità quando le condizioni economiche sono precarie.
In Italia, i redditi reali delle famiglie rimangono ancorati ai livelli di due decenni fa, il tasso di disoccupazione oltrepassa il 10% e la povertà è nettamente aumentata dopo la crisi.
Eloquente a tal proposito è l’articolo pubblicato qualche mese fa su Bloomberg a firma di Mody: “La Manovra di Bilancio dell’Italia non è così pazza come sembrerebbe”.
Ne riportiamo qui un estratto:
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