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L’ipotesi di nazionalizzazione di Banca Carige, avanzata dal governo Lega-M5S, ha aperto la questione sulla convenienza o meno di nazionalizzare gli istituti bancari. C’è chi si aspetta risultati favorevoli, ma ci sono anche coloro che sono molto contrari all’operazione di nazionalizzazione le banche.
La nazionalizzazione di una banca si ha quando lo Stato diventa azionista di maggioranza. Lo Stato che interviene assume la direzione e il controllo della banca, nonché le sue attività e passività.
Nel rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di stato e prima di ricevere il sostegno pubblico, una banca è tenuta a presentare un piano di ristrutturazione alla Bce o Bankitalia. Il sostegno pubblico deve essere preceduto dal contributo di azionisti e creditori subordinati. Dal 2014, è in vigore la Direttiva Europea sui salvataggi bancari che introduce il bail-in, e cioè il salvataggio interno delle banche. Per evitare di diffondere il panico nel sistema bancario, tuttavia, l’istituto del bail-in è stato poco o per nulla utilizzato per risolvere le crisi bancarie.
Il governo di uno Stato può decidere unilateralmente di nazionalizzare un istituto bancario. La nazionalizzazione di una banca può verificarsi quando l’istituto è ormai prossimo a dichiarare il fallimento, con conseguenti perdite per i risparmiatori e rischi a catena per il sistema bancario. La nazionalizzazione può aver luogo anche quando tali istituzioni hanno operato in modo fraudolento.
La logica alla base della nazionalizzazione include la protezione dei depositanti. In questo modo si evita di far subire perdite ai risparmiatori più vulnerabili.
Sostituire i dirigenti della banca con funzionari governativi è una delle prime mosse che avviene a seguito della nazionalizzazione. Gli incaricati che prendono il posto dei vecchi banchieri si impegnano ad attuare politiche e pratiche volte a ripristinare la solvibilità e la fiducia del pubblico.
Punire i banchieri che hanno assunto rischi eccessivi compromettendo la stabilità bancaria, permette di ridurre in futuro i comportamenti di azzardo morale.
Attraverso la nazionalizzazione è possibile reindirizzare le politiche bancarie verso obiettivi socialmente desiderabili e lontano da cattive pratiche.
Se la banca ha una portata sistemica, il suo fallimento potrebbe innescare effetti a catena nel sistema bancario. Per ristabilire la fiducia dei risparmiatori, lo Stato interviene evitando il fallimento e la propagazione dei rischi.
Quando si nazionalizza una banca, lo Stato utilizza soldi pubblici. Alla fine, sono dunque i contribuenti a pagare il conto di una nazionalizzazione bancaria. Questo comporta l’aumento del debito pubblico e minori risorse per servizi pubblici come scuole, sanità e pensioni.
Il governo ha la capacità di gestire un grande istituto finanziario? In un sistema capitalista, vi è un forte consenso sul fatto che, nonostante i loro difetti, le imprese private svolgono una gestione più efficiente di quanto non facciano i governi.
Nel caso della Cina, le banche statali sono state accusate per anni di servire gli interessi dello Stato e non quelli del popolo. Dal 2001, la Cina ha aperto il suo settore bancario ai privati consentendo anche alle banche straniere di investire.
La nazionalizzazione bancaria annulla il valore degli investimenti degli azionisti e dei creditori esistenti. Questo invia un segnale di allerta agli azionisti delle altre banche a rischio, mettendo sotto pressione il valore delle azioni in loro possesso.
In un’economia di libero mercato, la presenza dello Stato può creare distorsioni competitive all’interno dei settori. Lo stesso avviene quando lo Stato nazionalizza una banca.
Per concludere, quindi, la nazionalizzazione andrebbe intesa come una soluzione di ultima spiaggia per mantenere in vita una banca. Pertanto, dovrebbe essere intrapresa solo quando essa sia davvero indispensabile.
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