“La Grecia potrebbe essere il canarino nella miniera di carbone, ma l’Italia è l’elefante nella stanza.” Così il Wall Street Journal dipinge la crisi europea, quando gli occhi di tutti sono puntati su Atene, ignorando il principale nervo scoperto, l’Italia.
Perché l’eurozona possa prosperare, i suoi membri devono trarre maggiori benefici dal farne parte piuttosto che dall’esserne fuori, come ha sottolineato il Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), Mario Draghi.
Il caso più emblematico è quello della Grecia. Il nuovo governo greco ha sottoposto all’eurozona un nuovo set di proposte politiche nel tentativo di sbloccare 7,2 miliardi di euro di finanziamenti dal momento che si avvicinano le scadenze per i rimborsi dei prestiti al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e per il rinnovo di parte del debito. Le proposte fanno affidamento su nuovi introiti fiscali e sembrano ottimistici. Molti investitori si aspettano che l’Europa giunga a un compromesso che tenga la Grecia nell’area euro, anche se i nervi sono stati messi a dura prova dalla mancanza di progressi fatti, fino a questo momento.
Tuttavia, una questione di più lungo termine e probabilmente più rilevante riguarda l’Italia, la terza più grande economia dell’eurozona. Se la crisi greca è acuta, l’Italia ha invece un problema cronico: non è praticamente più cresciuta dall’adozione dell’euro.
L’economia italiana ha visto un costante rallentamento negli ultimi decenni: negli anni Ottanta la crescita media annua reale del Prodotto interno lordo era del 2,1%, secondo i dati del FMI. È scivolata all’1,4% negli anni Novanta, allo 0,6% nella prima decade del secolo e ha raggiunto una media del -0,5% tra il 2010 e oggi. Il valore della produzione rimane circa 9 punti percentuali inferiore rispetto al massimo del 2008.
La speranza è l’ultima a morire, anche aiutata dal Quantitative easing della BCE, dai prezzi del petrolio bassi e da un euro debole. Gli ultimi risultati delle indagini di mercato sembrano promettenti: l’indicatore Markit PMI manifatturiero per l’Italia (che raccoglie l’opinione dei responsabili degli acquisti delle aziende manifatturiere) ha raggiunto un punteggio di 53,3, il massimo degli ultimi 11 mesi. Indicatori del sentiment di consumatori e imprese hanno visto aumenti anche maggiori. Il primo trimestre dell’anno potrebbe essere il primo dal 2011 in cui l’Italia registra una crescita positiva. Le aspettative di Unicredit sono di una crescita pari allo 0,2% nel trimestre.
Tuttavia i dati provenienti dall’economia reale sono deludenti. La produzione industriale a gennaio è scesa dello 0,7%, in contrasto con le attese positive. La disoccupazione è cresciuta a febbraio al 12,7%, quella giovanile al 42,6%. Gli economisti tendono a leggere questa situazione come spiacevole ma temporanea: con delle condizioni positive per l’Europa nel suo complesso, anche l’Italia dovrebbe beneficiarne. Effettivamente, se l’Italia non riesce a crescere adesso, allora quando?
Tuttavia, il potenziale di crescita per l’Italia rimane preoccupantemente contenuto. Gli economisti di J.P. Morgan lo stimano vicino a zero per parecchi anni. Gli sforzi del primo ministro Matteo Renzi per riformare il paese sono vitali. I tentativi di migliorare il mercato del lavoro meritano credito; una delle principali barriere alla crescita è stata una sottocultura che limita l’espansione delle piccole imprese e che tutela i lavoratori dipendenti a detrimento dei giovani in cerca di occupazione. Ma, nel mentre, l’Italia ha l’urgente bisogno di dimostrare di poter crescere, almeno sfruttando il ciclo positivo.
All’orizzonte si profilano diverse date importanti per l’Europa. Il rimborso da parte della Grecia, il 9 di aprile, di 450 milioni di euro al FMI rappresenta uno scoglio cruciale da superare per l’eurozona. Il 13 maggio potrebbe portare notizie circa un’uscita dell’Italia da una recessione durata tre anni; se non sarà così, si potrebbero sollevare diverse domande su cosa fa davvero la moneta unica per i suoi membri.