Non si parla altro che di IMU sulla prima casa: un conto da 4 miliardi di euro che potremmo risparmiarci. Se da un lato farebbe comodo a tutti evitare questa ennesima tassa, dall’altro siamo proprio sicuri che si tratti di una priorità? Non sarebbe meglio intervenire su altre voci la cui eliminazione comporterebbero un netto miglioramento delle condizioni economiche dei cittadini e delle aziende consentendo di creare nuovi posti di lavoro e maggiore reddito?
È di questi ultimi giorni la presentazione da parte del Ministero dell’Economia di un’analisi delle possibili modifiche della tassazione sugli immobili (IMU). Il documento confronta varie strade possibili, dalla totale abolizione della tassa sulla prima casa all’esenzione selettiva.
La nota del Ministero sottolinea l’inopportunità di abolire l’IMU sull’abitazione principale in quanto gli effetti sarebbero fortemente regressivi: i maggiori beneficiari, cioè, sarebbero le persone con redditi più alti. Secondo le stime il risparmio medio per il proprietario sarebbe di 227 euro, ma con “guadagni” superiori ai 600 euro per i proprietari nelle fasce superiori di reddito. La misura comporterebbe una perdita di gettito per lo Stato pari a circa 4 miliardi di euro.
Come sosteniamo da diverso tempo su Risparmiamocelo il dibattito politico intorno all’IMU ha connotazioni innanzitutto simboliche in quanto si vuole proteggere dal fisco un bene considerato ‘sacro’ come la prima casa. Dal punto di vista della politica economica questa cristallizzazione delle forze politiche sul tema dell’IMU è estremamente dannosa in quanto fa perdere di vista le reali urgenze del paese, come ad esempio la disoccupazione.
Vediamo ad esempio a cosa ci stiamo riferendo.
La crisi economica in Italia è soprattutto una crisi di competitività rispetto agli altri Stati europei. Come abbiamo già scritto in un precedente post, uno dei fattori critici del sistema industriale italiano è la tassazione sul lavoro e in particolare il cuneo fiscale, ovvero la differenza tra il costo sostenuto dal datore di lavoro e il reddito netto percepito dal lavoratore. Uno studio de Lavoce, da cui è tratta la tabella, stima che una riduzione del costo del lavoro del 2,5% porterebbe ad un incremento in busta paga, per un lavoratore trentenne con reddito di 30’000 euro, pari a 250 euro e ad un risparmio per il datore di lavoro di 500 euro.
I benefici di tale misura sarebbero molteplici e di lungo termine:
· l’aumento del reddito disponibile potrebbe portare ad un miglioramento dei consumi e del risparmio;
·la riduzione degli oneri per il datore di lavoro potrebbe stimolare l’occupazione e l’attrattività pergli investimenti esteri.
Per lo Stato, la perdita di gettito derivante da questa misura è stimata nell’ordine dei 17 miliardi di euro, che andrebbe sostenuto con un’attenta revisione della spesa pubblica.
Ci focalizziamo sulla riduzione del cuneo fiscale, intervento in grado di mettere più soldi nelle tasche degli italiani e di aumentare l’occupazione, per ribadire il fatto che l’IMU sulla prima casa non ha la stessa urgenza, ma è l’argomento che ha totalmente monopolizzato il dibattito pubblico italiano a discapito di un percorso politico su riforme non più rimandabili.
La riduzione del cuneo fiscale richiede un’enorme volontà politica e un conseguente destinazione di risorse, si può però osservare che la spesa per l’IMU sulla prima casa è comparabile a quanto costa ai cittadini l’imposta di bollo (oltre 4 miliardi), un’imposta anticostituzionale e fortemente regressiva che penalizza milioni di piccoli risparmiatori.
È ora che le forze politiche si impegnino a riportare al centro del dibattito i temi davvero cruciali per il Paese.
Ti potrebbero interessare anche:
L’imposta di bollo vale quanto l’IMU ma nessuno ve ne parla. Vi spieghiamo il perché