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Dalla crisi finanziaria ad oggi, l’economia mondiale ha vissuto il periodo più lungo di crescita economica.
Eppure, se prima della crisi la crescita media annuale negli Stati Uniti si aggirava intorno al 3%, negli ultimi 10 anni questo tasso medio è sceso al 2,2%. La differenza può sembrare sottile, ma non lo è.
In buona sostanza, l’economia globale cresce un ritmo più lento rispetto al passato e questo genera interrogativi sul progresso futuro.
Ma a cosa è dovuto questo rallentamento?
Gli economisti evidenziano almeno due fattori che spiegano il recente calo della crescita economica.
Il primo riguarda le tendenze demografiche. L’allungamento della speranza di vita ha incrementato l’età media della popolazione. Una popolazione più anziana risparmia di più e consuma e investe meno.
Una seconda, e forse più evidente, spiegazione ha a che fare invece con la diminuzione della produttività della ricerca scientifica.
Nicolas Bloom, professore di economia dell’Università di Stanford, ha recentemente pubblicato uno studio dal titolo “Are Ideas Getting Harder to Find?” in cui mostra come la produttività della ricerca sta diminuendo drasticamente.
La crescita economica dipende dalla generazione di idee. Secondo i tradizionali modelli di economici sulla crescita, l’equazione della crescita è data dal prodotto di due termini: il numero di ricercatori e la produttività nella ricerca, cioè la loro capacità di far emergere nuove idee e innovazioni.
In genere, il ritmo della produttività della ricerca si ritiene costante e quindi basterebbe aumentare di pari passo il numero di ricercatori per mantenere una crescita costante nel lungo periodo.
In realtà, il professor Bloom dimostra che le cose non stanno proprio così. La produttività della ricerca non è costante, ma sta calando in ogni sfera economica.
Generare nuove idee “disruptive” richiede sforzi di ricerca sempre più elevati.
Prendendo come esempio l’economia degli Stati Uniti, lo studio dimostra che la produttività della ricerca si dimezza ogni 13 anni.
Pertanto, lo sforzo di ricerca, cioè il numero di ricercatori e scienziati impiegati, deve raddoppiare ogni 13 anni, soltanto per mantenere lo stesso livello di crescita economica.
La figura in basso mostra l’andamento della produttività della ricerca e del numero dei ricercatori a partire dagli anni ’30.
Gli sforzi di ricerca sono 23 volte maggiori rispetto al 1930. Ciò significa che il numero di ricercatori (linea verde) è aumentato ad un tasso di crescita medio del 4,3% per anno.
Tuttavia, la produttività della ricerca è diminuita ad un ritmo ancora maggiore: oggi è 41 volte più bassa rispetto al 1930 ed è calata mediamente del 5,1% ogni anno.
In sostanza, l’aumento degli sforzi della ricerca non è stato in grado di sostenere lo stesso ritmo di crescita economica del passato a causa della riduzione della produttività della ricerca.
Man mano che la quantità totale di scoperte scientifiche aumenta, è sempre più difficile proiettarsi verso la frontiera della ricerca.
Come può allora l’economia mondiale crescere più velocemente per contrastare il calo della produttività della ricerca?
C’è solo una risposta: investire sempre di più e meglio in ricerca e sviluppo. Gli Stati Uniti sono il primo paese al mondo per investimenti in R&D, ma nonostante questi sforzi il tasso di crescita medio dell’economia è persino più basso rispetto a qualche decennio fa.
Sono richiesti investimenti sempre più elevati, poiché la capacità di generare nuove idee con impatto positivo sta diventando più complessa.
È un po’ come correre su un tapis roulant, ma il tapis roulant continua ad accelerare minuto dopo minuto.
Certo, il professor Bloom e il team dell’Università di Stanford potrebbero anche sbagliarsi e ben presto invece l’umanità potrebbe riscoprire una nuova ondata di idee a basso costo. La speranza, condivisa da molti, sta il potere rivoluzionario che avrà dell’intelligenza artificiale nei decenni a venire.
Ma le innovazioni non cadono dal cielo e per raggiungerle occorre dunque investire sempre più risorse.
Una maggiore e migliore istruzione aumenterebbe l’offerta di scienziati e ricercatori, così come positive sarebbero le sovvenzioni per la ricerca di base nelle università e i crediti d’imposta per l’investimento in ricerca e sviluppo delle imprese.
Queste politiche pro-crescita, con benefici però riscontrabili soltanto nel medio-lungo termine, richiedono elevati investimenti pubblici nel presente. E i politici, interessati quasi esclusivamente al consenso nel breve periodo, sono davvero disposti a farlo?
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