La settimana scorsa sono stati divulgati gli esiti degli stress test condotti dall’Autorità bancaria europea. I risultati peggiori tra quelli delle 51 banche esaminate hanno riguardato Monte dei Paschi in Italia, Raiffeisen in Austria (la terza peggiore in Europa), Banco Popular in Spagna e due delle principali banche irlandesi. La cosa che forse i non addetti ai lavori non si aspettavano era che tra le 12 banche più deboli figurassero anche due colossi teutonici: Commerzbank e Deutsche bank.
Il test valuta la tenuta degli istituti di credito a fronte di diversi shock economici su diverse variabili, la più importante delle quali è il “Common Equity Tier 1 Ratio” (CET1). Questa variabile è data dall’ammontare complessivo di capitale che un banca deve detenere per poter fronteggiare scenari di instabilità economica. Nello specifico è calcolato misurando le attività della banca (come prestiti e investimenti) ponderate in base al loro livello di rischio.
Nel complesso, per quanto riguarda gli indicatori di solidità patrimoniale, il sistema bancario europeo si è rivelato più solido del 2014 e migliore di quanto si pensasse, con un CET1 ratio medio del 9,2%, tenendo conto che un valore di 10% indica la solidità della banca. «Il settore bancario oggi è più resistente e può assorbire meglio gli shock economici rispetto a due anni fa», ha dichiarato Daniele Nouy, che dirige la supervisione del settore presso la BCE. Il dato complessivo del sistema bancario italiano è però tra i peggiori, con un CET1 medio pari al 7,62%, con alla testa della classifica Banca Intesa (10,24%) che risulta la migliore d’Europa ed in coda MPS con un risultato addirittura negativo di – 2,23%, la peggiore in Europa. Anche Unicredit, nonostante abbia passato il test, risulta fra le peggiori: nello scenario avverso è al 7,10%, collocandosi al sesto peggior posto fra i 51 istituti. Guardando al Monte dei Paschi di Siena, dopo l’estenuante trattativa europea sfociata nella soluzione di mercato che esclude l’intervento pubblico, rivela appieno tutta la sua fragilità. Se l’obbligo è quello di fare ricorso ai capitali privati, viene subito da chiedersi chi se la sentirà di investire. Le ipotesi sul tavolo sono due: l’intervento del Fondo Atlante –che tuttavia non si capisce bene da dove potrebbe prendere i soldi – e la Cassa depositi e prestiti, che però essendo in parte proprietà del Ministero del Tesoro, potrebbe configurare un intervento pubblico.
Il fatto che l’Italia abbia una banca in cima alla graduatoria e una in fondo dimostra che la discriminante non sia il Paese, ma che invece si tratti di fragilità dei singoli istituti e non del sistema nel suo complesso. Sono le scelte gestionali e di management dei singoli istituti che hanno fatto la differenza. Alcune banche hanno agito preventivamente apportando cambiamenti interni al loro istituto: modificando il modello di business e riducendo i costi. Altre, che poi sono risultate le peggiori dagli esiti degli stress test, hanno postposto queste decisioni e hanno ignorato il problema.
Se facciamo un confronto con gli stress test dell’anno scorso; nel 2015 era prevista una soglia minima di capitale del 5,5% sotto la quale scattava la procedura prevista all’epoca dalla BCE in caso di bocciatura. Lo scopo principale degli stress test era quello di individuare i deficit di capitale, ora invece si tratta principalmente di individuare le vulnerabilità rimaste e di trovare delle soluzioni sostenibili. Prova di quanto appena detto è una frase pronunciata da Mario Draghi, Presidente della BCE, qualche settimana fa: «È tempo di affrontare il tema della vulnerabilità delle banche, non possiamo permetterci di non farlo». La principale sfida che devono fronteggiare le banche europee è data dalla bassa redditività – come già ricordato da Mario Draghi. Infatti si è creato un circolo vizioso in cui nonostante i tassi siano a zero o negativi, il costo del capitale rimane troppo elvato se messo a confrotno con il basso rendimento di motli istituti. Il risultato finale è che gli utili delle banche non sono suffcienti a generare risorse sufficienti da investire e ad erogare credito. Inoltre, la redditività delle banche non è favorita dall’atmosfera di incertezza e di crescita economica lenta che si vive in questo periodo. Servono cambiamenti legati alla gestione interna delle banche che portino al taglio di costi e alla creazione di sinergie per dare una spinta al sistema bacario europeo.