“Il mercato è altalenante. La tua cedola no”. “Cedola certa al 4%”. Questi sono solo alcuni degli specchietti (per le allodole) che si leggono sulle pubblicità dell’ultimo arrivato in casa Malafinanza: i fondi a cedola certa.
L’ingegneria finanziaria consente di creare ogni tipo di prodotto e mascherare dietro nomi e proposte apparentemente chiare anche prodotti ingannevoli per chi risparmia ed investe.
E così troviamo sugli scaffali dei maggiori Istituti finanziari fondi comuni con un packaging molto sexy: i cosiddetti “fondi a cedola certa” che somigliano alle nostre rassicuranti obbligazioni ma che in realtà sono molto diversi, cerchiamo di capire il perché.
I fondi a cedola spesso offrono delle cedole fisse per i primi anni dell’investimento e una cedola variabile nell’ultimo periodo, come ad esempio UBI SICAV Cedola Certa 2013-2017 o Gestielle Cedola Fissa o Anima Traguardo 2017 Multi Cedola. Questi fondi garantiscono una cedola ad esempio del 3,5% per 4 anni e noi, abituati alle obbligazioni, facciamo subito un parallelo associando il concetto di cedola al rendimento del nostro investimento.
Primo punto: la cedola certa non è il rendimento del fondo! I fondi a cedola non hanno un rendimento garantito, ma questo aspetto non è per nulla chiaro.
Come fanno questi gestori a garantire una cedola? Il trucco è semplice ma bisogna armarsi di microscopio elettronico e molta pazienza per capirlo e, soprattutto, evitarlo. Naturalmente tutto è scritto nelle 100/150 pagine del prospetto informativo(*). E le clausole sono come questa “Qualora l’importo cosi determinato fosse superiore all’effettivo risultato di gestione, tale distribuzione rappresenterebbe un rimborso parziale del valore delle quote mediante diminuzione del valore unitario delle stesse”.
Ma cosa significa concretamente? Cerchiamo di fare chiarezza con un esempio:“Cedola certa al 4% per 2 anni”. Quindi significa che se investiamo 100 euro riceveremo 4 euro all’anno. E alla scadenza? Quanto ci rimborseranno? Così come per un’obbligazione ci aspetteremmo di avere indietro i nostri 100 euro. Ma non è affatto detto! Immaginiamo uno scenario dove il fondo resti stabile – data la certezza della nostra cedola noi riceveremo 4 euro ogni anno – ma, a scadenza, il capitale restituito sarà di circa 92 euro perché, per pagarci le cedole, viene mangiato il nostro capitale.
Secondo punto: usare il termine “cedola” è ingannevole. Lo associamo immediatamente alla cedola di una semplice obbligazione, ma altro non è che un rimborso anticipato o una perdita di valore del nostro capitale investito.
Ma non basta, i fondi a cedola certa sono molto costosi anche se la loro gestione richiede meno impegno di un fondo comune tradizionale. Spesso il fondo compra i titoli ad inizio periodo senza più gestirli (o quasi) fino a scadenza: nonostante ciò le commissioni sono molto elevate.
Unica nota di attenzione: l’abito non fa il monaco, non sempre almeno. Sul mercato esistono fondi tradizionali a distribuzione di proventi. prodotti finanziari che hanno una funzione specifica: distribuire periodicamente, piuttosto che accumularle, le cedole ed i dividendi delle obbligazioni e delle azioni in portafoglio. La maggior parte di questi fondi ha un vincolo: i proventi sono distribuiti solo se il fondo è in utile e il loro ammontare non deve intaccare il capitale investito. Anche qui ovviamente potremmo discutere su costi e commissioni, che spesso sono esagerati, ma lo faremo in un altro post.
Se volete un flusso di denaro regolare e certo potete programmare dei rimborsi su un ETF o su un fondo comune tradizionale dai costi bassi: forse nessuno ve lo ha detto ma ci sono semplici soluzioni per farlo in autonomia!
(*) l’avete trovato? … difficile eh! Beh dai vi diamo una mano, andate a pagina 106. Se volete potete ritentare con questo.