John Law, figlio di un orafo di Edimburgo, a ventitré anni uccide in duello un damerino londinese e viene quindi arrestato e condannato a morte. La condanna però viene sospesa e John fugge il più lontano possibile: Amsterdam, Torino, Vienna, Genova, Venezia e infine a Parigi, nel 1697: John ha appena ventisei anni.
Vent’anni dopo, nella capitale di Francia, il suo nome sarebbe stato il nome stesso della speranza. Solo tre anni più tardi, quello stesso nome scozzese, John Law, sarebbe diventato il nome della disperazione. Che cosa accadde in mezzo? Una vita vissuta tra gioco d’azzardo e intuizioni geniali di economia monetaria: una cosa bizzarra soltanto per chi non conosce quel volgere d’anni a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, anni di violenza e di declino, anni di fortissimi contrasti, tra cui quello di una società di impianto ancora feudale e una realtà produttiva in rapida trasformazione, che chiedeva libertà dei mercati e nuove idee per farli funzionare. Tra queste idee, quella che la moneta non fosse qualcosa di neutrale bensì un elemento di facilitazione degli scambi e di sviluppo economico, l’idea cioè che in un’economia monetaria (e non quindi di baratto) l’aumento della quantità della moneta a disposizione è in grado di incrementare le attività e la crescita economica.
Negli anni giovanili di Law la moneta circolava in misura ridotta e per di più era di diverso peso e reputazione, in base alla quantità di metallo prezioso in essa contenuto. Va da sé che questo consentiva ogni genere di raggiro. L’esempio virtuoso di quegli anni era il successo della Banca di Amsterdam, che si era costruita una reputazione di integrità accettando depositi in tutte le monete ma saggiandole, pesandole ed emettendo note di credito basate sul valore intrinseco del metallo prezioso in esse contenute.
Nel pensiero di Law tuttavia, l’ancoraggio del valore monetario alla quantità di metallo prezioso contenuto nella moneta è un grosso limite, perché non garantisce la circolazione di una quantità di denaro realmente sufficiente a soddisfare il pieno sviluppo dell’economia. Si spende per provvedere ai propri bisogni o per esaudire i propri desideri: ma essendo questi infiniti, come potrà bastare lo scarso metallo pregiato reperibile a essere strumento di scambio di questa illimitata spinta allo sviluppo economico?
È assolutamente da sottolineare che, sia l’idea di una moneta che prende la forma di una banconota sganciata da un metallo prezioso, sia il fatto che comunque la moneta – benché sotto forma cartacea – debba avere un valore, sono due principi molto moderni. Secondo Law il valore doveva essere agganciato alla terra mentre nel pensiero economico moderno la controparte è data invece dalla produzione economica, come mostrerà più tardi John Maynard Keynes.
Ma tornando a Law, egli scrisse un saggio intitolato Saggio su una banca della terra che parlava esattamente di questo: della creazione di una banca che emettesse banconote che avessero a garanzia le terre della Corona. Girò dunque a presentare la sua idea alle corti europee, ma nessuno lo ascoltò, se non, nel 1713, Filippo II duca d’Orléans, conosciuto anni prima in una sala da gioco. Quando lo zio di Luigi Filippo, Re Sole, morì, nel settembre del 1715, il nipote divenne reggente, e mise a capo delle finanze non l’amico Law ma il duca di Noialles, la cui politica restrittiva si rivelò fallimentare.
Che cosa abbiamo dunque: un governo con un deficit enorme e con spese che non riesce a coprire, un debito assai maggiore della ricchezza prodotta annualmente dalla nazione e una soluzione che si profila come l’unica possibile, sicuramente la più facile: una Banca Centrale che stampa moneta per comprare il proprio debito pubblico. Non vi ricorda qualcosa come l’attuale Quantitative Easing?
Ecco allora che lo scozzese fonda la Banque Générale, una banca commerciale privata che forniva servizi bancari ottenendo altresì il diritto di emettere biglietti bancari. Era il 1716.
L’anno seguente Law istituì la Compagnia delle Indie Occidentali, di cui si affrettò a vendere le azioni, da comprarsi in contanti e in titoli di stato, proprio per risolvere quel problema del debito pubblico di cui abbiamo parlato.
Alla fine il valore della azioni crebbe fino a trenta volte il capitale investito: si era nel pieno di una gigantesca bolla, e come tutte le bolle era destinata a scoppiare. Il valore di quelle azioni era legato allo sfruttamento del Mississippi e dell’Illinois, che tuttavia era ben lontano dal produrre la ricchezza così tanto attesa.
Quando la nazione si accorse di questo scarto furono messe in atto una serie di svalutazioni, fino a quella del 15 settembre 1720, in cui venne stabilito che: le banconote ad alto valore facciale avrebbero perso corso legale, che per qualsiasi pagamento si esigeva almeno la metà in metallo, che i depositi custoditi nei conti bancari fossero ridotti d’autorità a un quarto del loro valore e che il valore delle azioni della compagnia fosse fissato a una certa cifra. L’opinione pubblica attribuì questi provvedimenti a Law, che per questa ragione il 20 dicembre dello stesso anno fu costretto a lasciare la Francia e a peregrinare per le corti d’Europa. Morì a 59 anni, a Venezia, in povertà. La sua ultima professione fu spia del governo inglese.
L’attore Pierfrancesco Favino racconta le vicende di John Law nello spettacolo “La storia di un uomo, il declino di una nazione”. Guarda il video della serata o scarica il testo teatrale.