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La finanza ci salverà dal gioco d’azzardo? (parte II)

In un precedente articolo su questo sito ho documentato come in Italia vi sia una spesa per scommesse che dire abnorme è poco: 4.000 euro l’anno a famiglia, con una perdita media di 1.000 euro (3.000 vengono resi come vincite), 20 volte di più di quanto si spende in media nel mondo, e la spesa è quadruplicata in 10 anni.

di Luigi Guiso - 26 Giugno 2015 - 5'

In un precedente articolo su questo sito ho documentato come in Italia vi sia una spesa per scommesse che dire abnorme è poco: 4.000 euro l’anno a famiglia, con una perdita media di 1.000 euro (3.000 vengono resi come vincite), 20 volte di più di quanto si spende in media nel mondo, e la spesa è quadruplicata in 10 anni. L’innovazione finanziaria può aiutare a contenere questo fenomeno che lasciato a sé difficilmente troverà soluzione: l’Agenzia dei Monopoli, non ha nessun interesse a disincentivare le scommesse ed è anzi il responsabile primo della loro diffusione. I governi, d’altra parte, trovano comodo raccogliere soldi in questo modo anziché attraverso tasse impopolari. Ciò che non vogliono fare i governi può essere, almeno fino a un certo punto, fatto dal mercato offrendo prodotti finanziari sostitutivi e migliori delle scommesse.

Migliori nel senso che diversamente dalle scommesse offerte dai Monopoli di Stato, che in media generano perdite, producono in media guadagni. Il beneficio per i risparmiatori può essere notevole.

Prendiamo la famiglia media che spende 4.000 euro in scommesse. Ogni anno perde in media 1.000 euro. In trenta anni la perdita attesa (trascurando la capitalizzazione) è di 30.000 euro. Quando la famiglia media andrà in pensione si ritroverà con 30 mila euro di ricchezza in meno. Poniamo che questi 1.000 euro, anziché regalarli ai Monopoli di Stato li investa in un fondo azionario e li lasci lì. SI tratta ovviamente di un investimento rischioso, ma rischiose e non redditizie sono anche le macchinette e le lotterie. Qui il rischio è compensato dal guadagno che in media si ottiene. Dopo 30 anni si metterebbero da parte in media 132.000 euro avendone investiti 30 mila. Non è una fortuna – che è forse quello che cercano i giocatori – ma è un guadagno interessante ottenuto provando l’ebbrezza del mercato azionario in sostituzione dell’ebbrezza delle macchinette. Ma se è la fortuna che gli acquirenti delle lotterie cercano si può fare di meglio disegnando un’attività finanziaria che assomigli di più alle lotterie ma che diversamente da queste dia in media un guadagno positivo.

Gli investimenti in start up – imprese molto innovative – sono come le lotterie: la maggior parte delle start up falliscono e non producono reddito, proprio come le lotterie (la maggior parte perdono la somma per l’acquisto del biglietto); poche hanno successo, ma quelle che hanno

successo generano un rendimento molto elevato, anche di miliardi: come e più delle lotterie.

Con una differenza: mentre in media con le lotterie si perde, con le start up in media si vince, e anche non poco. Ovvero hanno un rendimento atteso positivo.

Le start up sono le lotterie dei ricchi. Sono questi che vi possono investire perché richiedono sia conoscenza che una elevata somma iniziale. E poiché in media rendono parecchio, i ricchi come categoria diventano ancora più ricchi.

Le lotterie dei Monopoli di Stato sono le start up dei poveri: non richiedono nessun acume per comprarle, costano poco, danno l’illusione di poter fare il colpo gobbo, ma i poveri come categoria perdono. E non poco: il 25% delle scommesse.

Queste lotterie, lungi dal dare un’opportunità ai poveri, in realtà sono uno strumento per amplificare la disuguaglianza, a meno che lo Stato non renda ai poveri gli incassi delle lotterie. Fatto improbabile.

L’innovazione finanziaria però può aiutare a rendere accessibili ai poveri strumenti che consentano loro di investire in start up. Ad esempio, attraverso un fondo che investe in start up i contributi dei sottoscrittori.

Collettivamente sono tanti e quindi si possono investire in start up, ma ciascun sottoscrittore può sottoscrivere un piccolo importo. Anno per anno i sottoscrittori si ripartiscono i proventi dell’investimento. Per dare ai risparmiatori una chance in più di accumulare una fortuna in poco tempo, si può destinate una quota – poniamo il 10% – dei proventi a pochi sottoscrittori del fondo estratti a sorte. In questo modo in media tutti guadagnano e qualcuno può accumulare una fortuna.

Può uno strumento del genere avere successo e contribuire a contenere il dilagare delle scommesse e le perdite annesse? Tutto dipende da quanto i risparmiatori/giocatori vedono questo strumento come un sostituto delle scommesse.

Ebbene, in Nebraska, in parte per contrastare le scommesse ai casinò, le Credit Union hanno offerto un prodotto finanziario chiamato Risparmia per Vincere, dove i rendimenti degli investimenti dei sottoscrittori vengono divisi con una estrazione a sorte mensile. La presenza di questo strumento ha ridotto la spesa nei casinò del 18%! Applicando questa proporzione alla spesa italiana in scommesse si avrebbe una riduzione di 15 miliardi.

I risparmiatori non solo eviterebbero perdite per 3,75 miliardi ma incasserebbero gli interessi dai loro risparmi e le vincite annesse*. Questo è un buon uso dell’innovazione finanziaria.

*Questa conclusione è rafforzata da un altro caso, studiato da Cole et al. di una banca in Sud Africa che ha introdotto un libretto di risparmio a premio, dove gli interessi venivano allocati a sorte come in una lotteria. L’introduzione di questo strumento ha accresciuto i risparmi a scapito delle scommesse.

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