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La maggior parte della gente pensa che la crisi abbia portato ad un aumento delle disuguaglianze economiche nei più paesi avanzati, Italia compresa.
Per misurare le disuguaglianze di reddito e ricchezza solitamente si fa riferimento all’Indice di Gini. Questo indicatore varia da 0 a 100 e misura il grado di concentrazione del reddito all’interno di una nazione. Più è alto l’indice di Gini maggiore è la disuguaglianza economica di un Paese.
Un’altra misura che negli ultimi è stata sempre più utilizzata per misurare le disuguaglianze è la quota di reddito o ricchezza nazionale posseduta dal 10% più ricco della popolazione.
Per rispondere a queste domande, abbiamo consultato l’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane pubblicata dalla Banca d’Italia.
Questo grafico fa vedere la distribuzione del reddito e della ricchezza netta delle famiglie italiane dal 2006 al 2016.
Nell’asse di sinistra di entrambi i grafici si misurano i valori registrati dall’indice di Gini. Guardando al reddito, l’indice di Gini è aumentato leggermente passato da un valore di 32 nel 2006 a un valore compreso tra 33 e 34 nel 2016.
È alto, è basso? Se si considerano le economie più avanzate, come rivela l’Ocse, l’Italia è al terzo posto dietro a Gran Bretagna (35) e Stati Uniti (39). I paesi in via di sviluppo invece mostrano valori dell’indice di Gini più elevati: Sudafrica (62), Brasile (47), Messico (46), Turchia (40).
Quanto alle disuguaglianze della ricchezza, nonostante una prima impennata dopo la crisi, l’indice di Gini mostra oggi un valore di 61,5 ed è rimasto sostanzialmente invariato rispetto al 2006. Lo stesso trend si è visto per la quota di ricchezza (circa 44%) detenuta dal 10% più ricco della popolazione.
Dunque, oggi in Italia le disuguaglianze economiche non sono tanto diverse rispetto agli anni precedenti alla crisi. A confronto con gli altri paesi avanzati, si mantengono elevate e sono più marcate in termini di ricchezza anziché di reddito.
Tuttavia, un dato non può di certo passare inosservato. In Italia, gli individui a rischio povertà sono passati dal 19,6% al 22,9% della popolazione italiana.
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