«Chi fa mercanzia e non la conosca i suoi denari diventan mosca» e se lo dice un genio del Rinascimento, gli si può credere. Il suo nome è Luca Pacioli, soltanto che, siccome usava la penna per fare i conti anziché darsi da fare con pennello o scalpello, gli italiani che amano la matematica quanto il trapano del dentista, hanno preferito dimenticarselo. Eppure non è che dicesse stupidaggini, anzi. Si potrebbe ricordare che in tempi assai più recenti un altro italiano illustre, Luigi Einaudi, ha intitolato «Conoscere per deliberare» la più inutile delle sue Prediche inutili. Sommamente inutile perché noi italiani ci ostiniamo a prendere decisioni senza prima informarsi.
Luca Pacioli, toscano di Borgo Sansepolcro, ma per buona parte della sua vita attivo nella Venezia di fine Quattrocento, è l’uomo della partita doppia. È stato grazie a un suo libro che questa tecnica contabile si è diffusa viralmente prima al di qua e poi al di là delle Alpi, prendendo pure il nome di “metodo veneziano”. Ma non perché, sia ben chiaro, fosse stata inventata in riva al Canal Grande (e nemmeno a Genova o a Firenze, come liguri e toscani sostengono; invece non si sa dove sia nata esattamente) bensì perché il volume che l’ha fatta conoscere, De summa arithmetica, era stato pubblicato a Venezia nel 1494. Pacioli spiega che i conti vanno tenuti in ordine, e che per farlo è necessario usare il nuovo metodo contabile, altrimenti, nel disordine e nell’ignoranza, il denaro si volatilizza, «diventa mosca», per l’appunto.
Ma il discorso si può allargare perché la partita doppia è uno strumento e l’opera di Pacioli vuol far conoscere tutti gli strumenti finanziari dei suoi tempi. La conoscenza paga. Accanto a questo libro fondamentale ve n’erano molti altri, utilizzatissimi dai mercanti e dai banchieri del rinascimento; si trattava dei cosiddetti manuali di mercatura. Servivano a conoscere i mercati e le loro diverse particolarità. Un mercante fiorentino (o genovese, o milanese) per operare con Bruges, nelle Fiandre, o con Alessandria d’Egitto doveva conoscere cosa si comprava e si vendeva in quelle piazze, cosa si produceva, i corsi del cambio con la valuta locale, e persino le unità di misura, che al tempo non erano universali, come oggi, ma variavano da luogo a luogo (una libbra veneziana non corrispondeva a una libbra napoletana). I manuali di mercatura insegnavano tutto questo, e anche altro. Così, per esempio, un manuale pubblicato a Venezia nel 1554 mostra su due pagine contrapposte come contare con le mani, apprendiamo che i mercanti dell’epoca indicavano i numeri non alzando le dita, come facciamo noi oggi, ma, al contrario, abbassandole. Si pongono anche un gran numero di problemi pratici («Una fusta va da Vinegia in Candia con remi 40 in giorni 18. Dimando in quanti dì la ditta fusta andrà con remi 36». La soluzione è venti giorni). Un altro manuale di mercatura, la Tariffa, di Bartolomeo Paxi, pubblicato a Venezia nel 1503 riprende per indicare le once un segno già usato dai mercanti toscani per simboleggiare l’anfora, altra e diversa unità di misura. Il simbolo @ successivamente transitato sulle tastiere delle macchine per scrivere, e quindi su quelle dei computer, sarà destinato a diventare mezzo millennio più tardi la celeberrima chiocciola di internet.
La conoscenza è tutto, non c’è finanza senza notizie. E non è affatto un caso che William Shakespeare, nel suo Mercante di Venezia faccia domandare a Solanio: «Allora, che notizie a Rialto?» Rialto era il cuore finanziario della maggiore potenza marittima dell’epoca, una sorta di Wall Street del Cinquecento. Ancora una volta, quindi, conoscere per deliberare.
Alessandro Marzo Magno