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Impatti economici del Covid-19: il PIL pro-capite italiano torna ai livelli del 1993

Le proiezioni dell'OCSE vedono il pil pro capite italiano tornare indietro ai valori di trent'anni fa (1993). A margine di un recente intervento a Trieste, il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha sottolineato i principali fattori negativi per la crescita in Italia e quale sentiero percorrere per la ripresa...

di Piero Cingari - 7 Settembre 2020 - 3'

Alla fine del 2020, il pil pro-capite italiano tornerà ai livelli del 1993. Ad affermarlo è il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco in occasione dell’Euroscience Open Forum di Trieste, sulla base delle proiezioni fatte dall’OCSE.

L’Italia è il paese che registra la peggiore performance tra le economie avanzate. Mentre la Germania è tornata indietro ai livelli del pil pro capite del 2010, la Francia e la Spagna del 2002, gli Stati Uniti del 2014, l’Italia fa un balzo indietro di 30 anni.

 

Stando agli scenari prodotti dall’OCSE, è stato calcolato che quest’anno vedrà il calo più marcato del reddito pro capite italiano dal 1870. A pesare è senz’altro l’emergenza sanitaria ed economica che in questi mesi sta vivendo il nostro paese.
Ma il passo indietro dell’economia italiana non è solo da attribuire alla crisi del Covid-19. Il coronavirus è stato soltanto l’ultimo di una serie di fattori che hanno bloccato la crescita economica in Italia negli ultimi decenni.

Da oltre 20 anni il problema più grande della nostra economia è stata la bassa crescita, a sua volta a causa di una crescita della produttività molto debole.

Nel suo intervento, il governatore Visco ha sottolineato che «i ritardi accumulati nell’innovazione e nell’istruzione e la loro interrelazione con le strutture del sistema produttivo sono molto probabilmente all’origine della debolezza della crescita economica italiana». La Commissione Europea classifica oggi l’Italia al diciannovesimo stato tra gli stati dell’UE per connettività.

«L’Italia è inoltre tra i paesi con il ranking più basso dell’Ocse per spesa in ricerca e sviluppo e questa è accompagnata da investimenti insufficienti nell’istruzione».

L’Italia è penultima nell’Unione europea in termini percentuale di giovani di età compresa tra 25 e 34 con istruzione terziaria ed è al primo posto per quota di giovani di età compresa tra 15 e 29 anni che non studiano né lavorano.

Il Covid ha soltanto accelerato un processo di rallentamento economico già in atto dal quale è possibile uscire solo attraverso riforme, volte a creare un ambiente più favorevole alle imprese, aumentando la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, riducendo gli oneri amministrativi e burocratici, abbassando il peso dell’evasione fiscale e della corruzione.

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