Negli ultimi anni è aumentata esponenzialmente la diffusione di prodotti finanziari complessi a investitori privati in Europa ed in particolare in Italia. È quanto emerge dallo studio pubblicato recentemente dall’ESMA, autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati. Ma chi ci guadagna davvero?
Gli investitori italiani sono grandi possessori di prodotti strutturati: 200 miliardi di euro a fine 2012 , il 27% del totale europeo. Il dato assume ancora maggiore rilevanza alla luce del fatto che il mercato dei prodotti strutturati in Italia negli ultimi anni è stato oggetto di una rapida crescita, come si vede bene da questo grafico.
Ma cosa sono esattamente i prodotti strutturati?
I prodotti strutturati sono strumenti finanziari composti da un’obbligazione, con capitale garantito a scadenza interamente o in parte, e da una o più opzioni collegate, ad esempio, ad un indice azionario (ma anche un tasso di interesse, di cambio o una commodity). Acquistando dunque un prodotto strutturato, l’investitore prende esposizione su chi emette l’obbligazione e su uno strumento di mercato (il cosiddetto “sottostante” dell’opzione).
Due i motivi della loro rapidissima crescita nel nostro paese: il primo è una caccia al rendimento che ha spinto anche gli investitori più semplici ed avversi al rischio verso prodotti con maggiori potenzialità di guadagno, presunte o millantate.
Il secondo è che questi prodotti risultano in media essere costosi per il risparmiatore e presentano rendimenti mediocri. Suona strano, vero? In effetti lo è, ma non per le banche, per le quali i nostri maggiori costi sono maggiori guadagni.
Infatti, come si legge nella ricerca, la complessità del prodotto nasconde “un processo di formazione del prezzo poco trasparente e sfavorevole per il cliente, con un premio medio per l’emittente pari al 4,1%, che diventa del 5,5% se si tiene in considerazione anche il rischio di credito”.
In parole più semplici, questo significa che dei 200 miliardi investiti in questi prodotti ben 6 se ne vanno per costi che non dovremmo sostenere (i premi percepiti dalle società emittenti).
Aggravante: la performance dei prodotti strutturati non giustifica dei costi più alti, anzi.
I dati della ricerca dimostrano che nel periodo 1996-2010 hanno avuto un rendimento medio annuo pari al 2,5%, a fronte di un rendimento di un titolo privo di rischio (diciamo titoli di stato a breve termine) del 2,7%: il risparmiatore che avesse investito nello stesso periodo in un titolo privo di rischio avrebbe guadagnato in media lo 0,2% in più all’anno. E rischiando meno!
Più costi, stesso rischio e rendimenti uguali: è evidente che non è certo il risparmiatore a trarre beneficio da questi strumenti, ma piuttosto chi li emette e colloca.
Cosa si può quindi fare per tutelare i propri interessi?
Un consiglio, che vale anche in questo caso, è quello di ricercare sempre la semplicità: prodotti di investimento semplici sono più comprensibili e meno nocivi per i nostri risparmi.
Non è ovvio tuttavia valutare quelli che ci vengono proposti, in quanto trasparenza e semplicità potrebbero essere solo apparenti.
Una soluzione può quindi essere quella di informarsi presso chi, specialmente, non ha proprio nulla da guadagnare dalla vendita di quei prodotti: evitare il conflitto di interessi è un’ottima premessa per non fare passi falsi.
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