Gli italiani sono un popolo di risparmiatori. Sin da piccoli siamo stati abituati a mettere da parte i piccoli risparmi nei nostri salvadanai ma quando arriva il momento di investire molti di noi o lo evitano oppure lo fanno in modo errato. Infatti, concetti come la diversificazione, rischio o la relazione tra rischio e rendimento oltre a non noti ad alcuni sono, a volte, intenzionalmente ignorati e i nostri investimenti ne pagano le conseguenze.
Secondo un recente sondaggio condotto da Gfk Eurisko, l’83% degli investitori italiani afferma di avere come obiettivo d’investimento il capitale garantito e di voler assumere rischi pari a zero anche a costo di ritorni bassi o bassissimi. Tuttavia, pochi tengono in considerazione che accumulare troppa liquidità significa perdere opportunità importanti che farebbero fruttare i nostri risparmi, compromettendo così i principali obiettivi che ognuno si prefigge (la pensione, la casa, i figli ecc).
Non è un caso che il 6.5% degli intervistati confessi di tenere i propri risparmi principalmente in banca. Solo il 9% afferma di avvalersi di un consulente per pianificare i propri obiettivi finanziari, mentre il 37% fa ancora uso del “passaparola” di amici e conoscenti. Da questi dati si evidenzia una delle gravi debolezze degli italiani, più propensi a gestire da soli la propria ricchezza, esponendosi così a maggiori probabilità di errore, anziché rivolgersi a operatori professionali che hanno esperienza e informazioni adatte per investire. In mancanza di una solida cultura finanziaria, come nel caso nostro, l’uso del fai-da-te comporta notevoli rischi: mancanza di una corretta diversificazione dei titoli in portafoglio, non riuscire a capire i tempi di ingresso e uscita dall’investimento ecc.
A proposito dell’importanza della diversificazione, numerosi studi hanno dimostrato che il contributo al rendimento di una corretta allocazione di portafoglio può arrivare a pesare fino all’ 80%-90% del risultato finale del proprio investimento, tuttavia costruire da sé un portafoglio d’investimento in modo corretto non è certamente un’impresa facile. E’ anche vero che la consulenza può essere costosa per chi ha somme modeste da investire, ma sul mercato esistono opportunità di investimento “fai-da-te” che uniscono i vantaggi della diversificazione dei fondi comuni a quelli della consulenza digitalizzata dei robo-advisor. Il grande vantaggio è unire i benefici della diversificazione dei fondi comuni e l’abbattimento dei costi della consulenza. I fondi comuni permettono anche a un investimento contenuto di poter trarre gli stessi benefici sopra citati, senza fare discriminazioni tra i sottoscrittori.
A tale proposito, una delle regole basilari dell’allocazione del risparmio “non mettere tutte le uova nello stesso paniere”, dovrebbe essere chiara e alla portata di tutti. Eppure, la diversificazione di portafoglio è un concetto correttamente interpretato soltanto dal 6% dei risparmiatori italiani, come testimonia il recente studio Consob. Con diversificazione si intende ripartire il capitale in tanti strumenti finanziari che sono poco o negativamente correlati tara di loro. I risparmi delle famiglie italiane sono ancora oggi pilotati da vecchie consuetudini secondo le quali l’investimento nel mattone o in titoli di Stato rappresentino una delle migliori occasioni d’investimento.
Ad allarmare però ancor di più sono i casi in cui la ridotta diversificazione è addirittura adottata volontariamente sulla base di alcuni bias di finanza comportamentale. Uno di questi è il cosiddetto domestic (o home) bias, secondo il quale il portafoglio d’investimento si caratterizza per una massiccia presenza di attività finanziarie del Paese d’origine dell’investitore. Le ragioni legate a questo comportamento sono il maggiore controllo o la migliore capacità di interpretazione delle notizie, ma tutto ciò non è direttamente riconducibile ad un effettivo miglioramento del profilo rischio/rendimento del proprio portafoglio che viene in realtà notevolmente esposto alle incognite del Paese.
Uno studio condotto da Tiziano Bellemo, advisor e docente LIUC ( Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo), ha mostrato empiricamente l’inefficienza del nostro portafoglio se decidessimo di investire in azioni o titoli di un unico paese. Nel caso specifico, assumendo un arco temporale compreso tra gennaio 1999 e settembre 2016, un ipotetico portafoglio costituito da sole azioni italiane avrebbe generato ritorni negativi (-7,4%). Al contrario, l’efficienza sarebbe decisamente aumentata investendo in un paniere di azioni dell’ Eurozona (che ha avuto un rendimento positivo del 72%) e avrebbe raggiunto il suo massimo (+115%) se nel mix fossero state incluse azioni di tutti i mercati internazionali. Pertanto, un investitore italiano che avesse sistematicamente preferito delimitare il suo portafoglio in attività finanziarie (azioni o titoli) domestiche, non avrebbe ottenuto alcun vantaggio ma anzi avrebbe sofferto una perdita. Comprare solo e soltanto italiano è un scelta che di certo può tornare utile quando facciamo la spesa al supermercato, ma della quale non dovremmo abusare qualora volessimo costruire un portafoglio d’investimento correttamente diversificato secondo aree geografiche.