Dall’aumento dell’aliquota sui redditi da capitale al record della raccolta, il 2014 è stato un anno denso di eventi per il mondo del risparmio. Ecco i numeri, più o meno noti, che hanno segnato gli ultimi 12 mesi e i risparmi degli italiani.
26%. Dal primo di luglio la tassazione sulle rendite finanziarie è aumentata dal 20 al 26%. In molti hanno accolto la misura con favore, chiedendosi perché un reddito da lavoro dovrebbe essere tassato fino al 43% mentre uno finanziario solo al 20%? Da questo punto di vista è difficile ritenere la scelta sbagliata in sé. Il provvedimento ha però creato una condizione estremamente nociva per l’economia italiana e svantaggiosa per il risparmiatore. L’aumento dell’aliquota ha infatti coinvolto solo i titoli azionari e le obbligazioni private, esentando invece i titoli pubblici, su cui vige un’aliquota del 12,5%, privilegiando quindi questi ultimi.
120 miliardi. Anche se la propensione al risparmio degli italiani è rimasta su livelli storicamente bassi, la raccolta, degli ultimi (quasi) 12 mesi, per il settore del risparmio gestito è stata da record, toccando i 120 miliardi di euro. Prima di gioire per questo dato è bene chiarire che, per il momento, i fondi comuni non siano acquistati ma solo venduti. In altri termini, la stragrande maggioranza dei risparmiatori investe in fondi comuni se questi gli vengono “suggeriti” allo sportello. Il boom della raccolta è in gran parte riconducibile a un cambio di strategia da parte degli istituti bancari che hanno ripreso a collocare i fondi (spesso quelli delle SGR di proprietà della stessa banca). Un’altra ombra sul dato, apparentemente positivo, della raccolta è l’enorme successo dei fondi a cedola garantita e con la finestra di collocamento, non proprio un capitolo edificante per il settore del risparmio gestito.
61%. Della raccolta del 2014 sui fondi comuni, oltre il 61% è stato investito in fondi comuni di diritto estero. Nel mondo globalizzato questo dato potrebbe sembrare assolutamente normale, ma c’è un però. I fondi di diritto italiano devono sottostare alla normativa di Banca d’Italia a tutela dei risparmiatori. Quelli di diritto estero, no. L’esempio più eclatante di questa differenza sta nella regolamentazione del calcolo e prelievo delle commissioni di performance, costi caricati sui clienti quando il fondo ottiene buoni risultati. Per quanto la normativa imposta da Banca d’Italia sia perfettibile, ai fondi di diritto estero (lussemburghesi o irlandesi) è concesso di caricare commissioni di performance su orizzonti temporali molto brevi, senza alcun legame tra le commissioni “premio” caricate e il rendimento di lungo termine per il cliente.
58. È l’età media dei sottoscrittori di fondi comuni di investimento. Questo dato è coerente con la dinamica demografica del paese, ma indica anche la difficoltà dei più giovani di accantonare risparmi. I giovani, più severamente colpiti dalla crisi, si scontrano anche contro le barriere del settore, che non li ritiene un pubblico interessante, date le risorse limitate. Dal momento che l’apporto del sistema pensionistico si sta riducendo rapidamente e dato che i giovani hanno l’orizzonte temporale più lungo, sarebbero la fascia di popolazione che avrebbe il maggiore interesse personale a investire i propri risparmi.
Si direbbe fino a qui che il 2014 sia stato un anno ben cupo per i risparmiatori. Ci sono però alcune note positive di cui bisogna tenere conto e che danno un po’ di speranza per i prossimi mesi.
34,20. È stato eliminato il minimo dei 34,20 euro dell’imposta di bollo. Fino al 2013, chi sottoscriveva prodotti finanziari doveva pagare un’imposta annua pari a una percentuale del capitale e comunque non inferiore a 34,20 euro. L’imposta minima era estremamente penalizzante per i risparmiatori più piccoli, tanto che in diversi, tra cui Risparmiamocelo, definirono l’imposta regressiva una patrimonialina sui poveri.
1/12. È la data, il 1° dicembre 2014, da cui i fondi comuni di investimento possono essere acquistati in Borsa. Questa novità, piccola in apparenza, rappresenta potenzialmente una forte spinta al cambiamento, in un settore caratterizzato dal ruolo centrale della distribuzione e dalla scarsa consapevolezza dei risparmiatori. La possibilità di acquistare un fondo comune direttamente in Borsa o dal proprio conto titoli, come avviene oggi per le azioni, le obbligazioni o gli ETF, garantisce un forte risparmio a quei risparmiatori che non hanno bisogno di un servizio di consulenza. A livello di settore si fa chiarezza sulla struttura dei costi a carico del cliente, aumentano la concorrenza e la trasparenza e si valorizza il ruolo di una buona consulenza.