Il 2014 è stato l’anno dei record per il risparmio gestito. In questi mesi gli italiani hanno investito in fondi comuni oltre 86 miliardi di euro. La raccolta è stata però tutt’altro che equamente distribuita tra le varie migliaia di fondi comuni disponibili ai risparmiatori italiani. I dieci fondi comuni che hanno visto gli afflussi di capitale più consistenti, spesso superiori al miliardo di euro, rappresentano circa il 16% della raccolta totale.
Quali sono i fattori che determinano il clamoroso successo di questi fondi? Siamo andati a identificare i tratti che hanno in comune per capire la ricetta di questa straordinaria raccolta.
Di nuova istituzione. Tutti i 10 fondi campioni di raccolta sono stati creati nel 2014 o l’anno precedente. Questo smentisce l’idea per cui i risparmiatori investano guardando alla performance passata degli strumenti finanziari. Questi prodotti infatti non hanno una storia, non è possibile quindi valutare come si è comportato il fondo negli anni passati e in diverse situazioni di mercato. Guardare ai risultati passati non può essere l’unico metro di giudizio per un investimento ma una performance positiva nel lungo periodo può fornire un’informazione utile sulla qualità della gestione. Vediamo però che essere stati i migliori non è una caratteristica ricercata dai risparmiatori.
La cedola. Un tratto condiviso da 9 fondi dei 10 è quello di prevedere in qualche forma la distribuzione di una cedola. Questa caratteristica si rivela commercialmente molto apprezzata dai risparmiatori ma nasconde alcune insidie. È importante fare attenzione che il fondo sia a distribuzione di proventi ma non a cedola garantita. Nel secondo caso infatti il pagamento della cedola può essere frutto di un rimborso del capitale; si rischia quindi che il fondo paghi la cedola con gli stessi soldi che il risparmiatore ha investito.
Commissioni di collocamento. 9 fondi dei primi 10 fondi condividono una struttura dei costi simile: fanno un uso disinvolto delle commissioni di collocamento. Un tempo sui fondi comuni erano diffuse le commissioni di ingresso, che prevedevano che una parte del capitale versato non venisse investito ma fosse trattenuto da chi vendeva il fondo. La sempre minore disponibilità dei risparmiatori a pagare questo tipo di commissioni, ritenute ingiuste, a fronte di un servizio banale come il semplice collocamento del prodotto, ha portato sempre più fondi a non applicarle. La salvezza, per le reti, è arrivata con l’ideazione delle commissioni di collocamento, che vengono prelevate dal patrimonio del fondo al momento dell’avvio e poi ammortizzate negli anni successivi. Il risultato è lo stesso che si aveva con le commissioni di ingresso, perché chi vende il fondo incassa subito l’intero delle commissioni di collocamento, con la differenza che in questo caso il costo è ben nascosto al risparmiatore.
Appartenenza a gruppi bancari. Tutte le società di gestione a cui appartengono i primi 10 fondi sono di proprietà di gruppi bancari. Queste SGR, rispetto a tutte le altre, hanno l’enorme vantaggio di avere un accesso diretto al cliente finale tramite la rete di distribuzione. La banca è per moltissimi risparmiatori la prima e unica fonte di consulenza finanziaria; è evidente dunque che chi controlla gli sportelli bancari ha un forte potere nel scegliere quali strumenti collocare o meno. Nello specifico, le banche hanno maggior interesse a vendere i prodotti della società di gestione controllata dalla stessa banca, massimizzando in questo modo i profitti del gruppo ma in evidente conflitto di interessi con il risparmiatore.
Dovendo quindi riassumere gli elementi vincenti perché un fondo abbia un enorme successo tra il pubblico e raccolga cifre da capogiro, appare evidente che il merito non è tra questi. Non vi è infatti alcuna correlazione tra i risultati ottenuti e la raccolta successiva, che anzi si concentra su fondi di nuova istituzione, che, per definizione, non hanno ottenuto ancora nessun risultato. I fattori che sembrano invece essere determinanti sono l’appartenenza a un gruppo bancario, la distribuzione di una cedola e la presenza di commissioni di collocamento. Nessuno di questi elementi sembra purtroppo fare gli interessi dei sottoscrittori ma sono invece rilevanti per il successo commerciale (vedi la cedola) e per la creazione di rendite sicure e immediate per la rete di vendita, indipendentemente dal risultato ottenuto. C’è quindi poco da gioire per il successo di raccolta dei fondi comuni, guidato da una specifica scelta commerciale degli istituti bancari e indirizzato verso prodotti di dubbio vantaggio per i clienti.
La buona notizia è che scegliere un fondo comune efficiente, evitando brutte soprese, non necessita di chissà quali competenze in ambito finanziario. Una storia di successi, dei costi trasparenti e contenuti, reperibili sulla documentazione d’offerta, e l’assenza di conflitti di interessi con il vostro consulente, sono già un ottimo inizio.