Oggi e domani i ministri delle Finanze europei discuteranno ad Amsterdam del futuro dell’unione bancaria e possiamo stare certi che si tratterà di una discussione accesa.
Il tema sarà quello del Fondo di risoluzione bancaria (tra poco vediamo di cosa si tratta) e quantità di titoli di stato che le banche possono acquistare e tenere in bilancio.
La Germania è il paese che vorrebbe più garanzie e intenderebbe porre un limite all’ammontare del debito pubblico nei portafogli bancari, al fine sia di irrobustire i bilanci degli istituti di credito, sia di evitare che in caso di una nuova crisi debitoria si entri nel circolo vizioso che tanti danni ha prodotto negli ultimi anni.
In effetti, se le banche sono piene di debito nazionale, il caso che un fallimento di un paese si trasformi anche in una crisi bancaria (europea) è elevatissimo.
Il fatto che i titoli di stato (europei ma non solo) non possano essere considerati privi di rischio induce la Germania a porre il tema del limite della loro quantità all’interno dei bilanci bancari come una condizione necessaria per l’adozione del Fondo di risoluzione bancaria: un sistema a livello UE per la risoluzione degli enti finanziari insolvibili che comporta costi minimi per i contribuenti e per l’economia reale.
Il Fondo è in sostanza un “paracadute finanziario” comune a livello europeo per fare fronte ad eventuali crisi di liquidità delle banche nazionali: un progetto che viene presentato ufficialmente al prossimo Ecofin il 23 e 24 aprile, e che nelle previsioni dovrebbe entrare in vigore nel 2024 con una dotazione di 55 miliardi di euro, corrispondenti all’1% dei depositi delle banche dell’Unione (qui un articolo per approfondire).
Gli obiettivi di un tale meccanismo sono senz’altro desiderabili, e vorrei dire necessari: rafforzare la fiducia nel settore bancario, impedire la corsa agli sportelli e l’effetto “contagio” in caso di fallimento di un istituto di credito.
L’opinione italiana e francese circa la rischiosità dei titoli di stato è diametralmente opposta a quella dei Tedeschi: per noi ed i nostri cugini d’Oltralpe si tratta di strumenti finanziari sicuri.
Si tratta del resto di una posizione assolutamente comprensibile, in particolare dal punto di vista dell’Italia, che ha un rapporto debito/pil del 132,6% (a fronte di un 93,5% francese, di un 93,9 spagnolo e di un 78,4 tedesco) che deve continuare ad essere percepito come affidabile e sostenibile, pena conseguenze come quelle viste su Bot e BTP nel 2011.
Un dato altrettanto importante: le banche italiane hanno in pancia 389 miliardi di titoli di stato, il quadruplo rispetto al 2008, pari all’11% dei propri bilanci, a fronte dell’8% spagnolo, del 7% tedesco e del 3% spagnolo.
Ovvio che il sistema tedesco sia il meno esposto e insensibile ad eventuali limiti di investimento in debito pubblico, mentre le nostre banche quelle nella posizione più delicata.
Non a caso il nostro ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha di recente affermato che imporre dei vincoli ai titoli di stato detenuti dalle banche è sbagliato e rappresenterebbe un problema «forte» per l’Italia.
Anche alla luce di queste motivazioni è lecito attendersi che la discussione di Amsterdam sia certamente accesa, cosa che verificheremo alla fine di quesi due giorni.