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I politici andrebbero pagati di più

Negli ultimi anni sono sempre più le voci che si levano contro i politici e in particolar modo contro i loro stipendi. Una soluzione tuttavia al malcontento verso la politica potrebbe passare proprio da un aumento di questi stipendi. Più in generale, vale la pena farsi una domanda: il problema è che i politici guadagnano troppo o che fanno male il loro lavoro?

di Lorenzo Saggiorato - 19 Agosto 2014 - 5'

Negli ultimi anni sono sempre più le voci che si levano contro i politici e in particolar modo contro i loro stipendi. Una soluzione tuttavia al malcontento verso la politica potrebbe passare proprio da un aumento di questi stipendi. Più in generale, vale la pena farsi una domanda: il problema è che i politici guadagnano troppo o che fanno male il loro lavoro?

Dalle scelte della politica, dell’insieme dei singoli politici, dipende la qualità della vita di ognuno di noi nella misura in qui queste scelte disegnano il contesto in cui viviamo, cresciamo, lavoriamo, costruiamo una famiglia e invecchiamo. Dalle decisioni prese dai politici di oggi dipenderà anche il Paese che lasceremo ai nostri figli e nipoti. Ognuno dei provvedimenti proposti dai politici o su cui questi sono quotidianamente chiamati a esprimere il proprio parere tramite il voto, rappresenta un tassello cruciale della realtà che ci circonda ed ha un effetto diretto sulla società tutta. Queste decisioni influenzano infatti la gestione delle finanze pubbliche, la capacità di fare impresa, il mercato del lavoro, il sistema dell’istruzione, la previdenza e l’assistenza sociale. A ben vedere, il lavoro del politico è tra quelli che comportano un carico di responsabilità più elevato, per cui sono richiesti talento e competenza in quanto un cattivo o incompetente esercizio della professione ha dei costi sociali ed economici enormi.

In un mondo ideale, il lavoro del politico dovrebbe essere tra quelli più ambiti dai giovani di talento. Oggi un neolaureato brillante cerca una situazione lavorativa stimolante, in cui possa crescere e con uno stipendio interessante. La difficoltà generale a trovare oggi in Italia questa realtà è evidente nel numero di laureati che emigrano ogni anno, tuttavia il mondo politico appare particolarmente poco attraente per un giovane perché estremamente legato a correnti, interessi particolari e partitici. Anche sul fronte retributivo lo stipendio di un politico non è sempre competitivo se paragonato con quello di un dirigente di una grande azienda, sia pubblica sia statale, o con quello percepito dopo qualche anno di esperienza da un giovane di talento in una banca d’affari o in uno studio legale internazionale. Tornando quindi alla provocazione iniziale, lo stipendio, in qualsiasi professione, è un fattore determinante per attirare i talenti e le competenze migliori. Questo meccanismo è chiaro e condiviso quando si tratta di calciomercato, di televisione o quando si tratta di dirigenti di imprese. Perché non dovrebbe essere valido per la politica? Perché i cittadini non dovrebbero attrarre le persone più capaci per mettere nelle loro mani il delicato compito di lavorare per il bene comune?

Vi è però un’altra componente che si deve accompagnare a uno stipendio elevato e proporzionale al carico di responsabilità: il lavoro di ogni politico deve poter essere valutato e se scarso o comunque non all’altezza di quanto i cittadini si aspettano, il politico deve essere rimosso. Si tratta di una basilare forma di meritocrazia, tanto decantata nel sistema economico ma pressoché assente nel mondo politico.

I costi della politica rimangono una criticità del sistema paese. Non tanto in termini assoluti, perché sul bilancio della spesa pubblica pesano molto di più gli oneri pensionistici e sanitari, tuttavia, data la precaria situazione delle finanze pubbliche e i grandi sacrifici che sono stati imposti al paese, tenere sotto controllo i costi della politica è un imperativo. Anche qui dovrebbe però prevalere la logica della spending review, ossia l’individuazione degli sprechi e la salvaguardia dell’efficienza della macchina legislativa. In quest’ottica il taglio del numero dei parlamentari, direzione in cui sta andando la recente riforma del Senato è sicuramente un provvedimento apprezzabile. Come ordine di grandezza, basti pensare che in Italia c’è un parlamentare ogni 60.000 cittadini, mentre negli Stati Uniti il rapporto è di uno ogni 600.000 persone circa.

È comprensibile essere indignati con la classe politica, dati gli scandali, gli sprechi e soprattutto i vent’anni di mancate riforme. Il titolo è evidentemente una provocazione, perché è logico che una busta paga di oltre 10 mila euro al mese susciti indignazione e rabbia in molti italiani, a fronte di una politica che appare e si mostra troppo spesso come quella raccontata nell’emblematico servizio de Le Iene o dal personaggio di Antonio Albanese, Cetto La Qualunque, tuttavia il profondo cambiamento necessario del sistema passa non tanto dal togliere ma quanto dal chiedere molto di più. È giusto che i cittadini ambiscano a essere governati dai più meritevoli, a cui si dà tanto e si pretende molto. La risposta alla delusione per la politica è più politica anziché antipolitica, più interesse anziché disinteresse, più ricerca di quei politici che fanno bene il proprio lavoro anziché semplicistiche generalizzazioni.

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