I fondi flessibili sono l’ultima moda creata dall’industria finanziaria. Negli ultimi anni hanno raccolto una parte molto importante dei nuovi risparmi investiti ed ora le proposizioni di marketing hanno fatto evolvere i fondi flessibili in una nuova variante: i fondi flessibili a V.a.R.
Ma cosa sono i fondi a V.a.R.? Soddisfano delle esigenze reali degli investitori o sarebbe meglio starne alla larga?
Un fondo flessibile a V.a.R. è fondo comune d’investimento che ha il vincolo di rispettare un “Value at Risk”: il “Valore a Rischio” è una stima della massima perdita potenziale di un investitore del fondo su un orizzonte temporale (ad es. un giorno o una settimana).
Tipicamente si tratta di un fondo senza un parametro di riferimento (benchmark) che è utilizzato per confrontare la qualità della gestione rispetto al mercato di riferimento del fondo. L’investitore che sceglie questo tipo di prodotto, sceglie dunque di lasciare “carta bianca” al gestore, che ha il vincolo di rispettare un certo livello di rischio, misurato appunto dal V.a.R.
Nella pratica non esistono dunque vincoli percentuali predefiniti per la scelta di azioni o obbligazioni, di settori, aree geografiche o di valute: tutto ciò è fatto per dare al gestore la possibilità di cogliere le migliori opportunità che il mercato offre.
Fin qui niente di strano, anzi: tutte caratteristiche assolutamente desiderabili.
Da una parte questo può favorire autonomia e libertà decisionale del gestore del fondo, dall’altra il ricorso al V.a.R. fornisce un elemento “matematico”, quantitativo di rassicurazione dell’investitore. Meglio: di apparente rassicurazione, come vedremo tra poco.
Proprio nel metodo di funzionamento dei fondi flessibili a V.a.R. si nascondono due difetti che allontanano il fondo dalla promessa di sicurezza e dall’andamento che l’investitore desidererebbe.
Il primo: anche per i fondi flessibili a V.a.R. non si può avere ex-ante l’indicazione puntuale dell’entità del rischio che si corre realmente.
Infatti, il V.a.R. misura soltanto la massima perdita potenziale del fondo su un orizzonte temporale stabilito ed è basato su dati storici, sul passato: il V.a.R. è una stima, non è una certezza.
Quindi varia secondo i casi: potrebbe essere inferiore, ma anche –con una certa probabilità- superiore.
In questo senso l’investimento non ha la certezza di una gestione del rischio migliore rispetto a quella di altri prodotti di investimento: neanche i fondi flessibili a V.a.R hanno la formula magica.
Ma c’è un secondo difetto “naturale” e nocivo per le tasche dell’investitore che contraddistingue i fondi flessibili a V.a.R.: la scelta di composizione del fondo (quali e quante azioni/obbligazioni comprare o vendere) è condizionata da algoritmi matematici poco adatti a situazioni di mercato caratterizzate da volatilità e/o da significativi eventi imprevisti. Insomma: quasi sempre.
Ad esempio: cosa avrebbe fatto un fondo a V.a.R. nel 2016? Semplificando, avrebbe funzionato come segue.
Grazie ad un rischio stimato relativamente basso, sarebbe stato ben investito al 1 gennaio e all’inizio della correzione. Con il proseguire e l’aumentare dell’entità del ribasso, si sarebbe avvicinato o avrebbe superato i livelli di V.a.R. definiti ex-ante per il fondo.
Tutte le campanelle di allarme avrebbero suonato ed il gestore avrebbe ridotto gli investimenti del fondo –o ne avrebbe scelti di meno rischiosi e quindi meno redditizi- come conseguenza, per rispettare il V.a.R. “promesso”. Risultato: nel rialzo successivo il portafoglio sarebbe stato meno investito che nel ribasso, ed in modo più prudente.
Morale: l’investitore avrebbe perso nel ribasso e consolidato un livello di perdite, quando avrebbe potuto cogliere opportunità di investimento “a prezzi ridotti”.
Il tutto non per inettitudine, ma per il meccanismo stesso di gestione del fondo: in periodi di alta volatilità il fondo flessibile a V.a.R. predilige il rifugio nella liquidità, ma dopo che la volatilità si è manifestata –e quindi anche le perdite. A ciò si aggiunge il “rischio” di non realizzare una performance positiva nelle fasi di “risk-off”.
Quindi i fondi flessibili Value at risk (V.a.R.) non aggiungono nulla: anche loro consentono di avere ex ante un’indicazione non certa del rischio dell’investimento, come gli altri fondi.
Invece, a differenza di un fondo comune gestito in modo attivo (se con intelligenza), un fondo flessibile V.a.R. sistematicamente “vende basso” e “compra alto”: un peccato veniale per qualsiasi investimento, che ogni risparmiatore può evitare scegliendo un buon prodotto con qualche semplice optional.