Il costo di un computer è nel tempo calato enormemente. Un iPhone – il più piccolo degli odierni computer – costa 10 volte di meno dell’Osborne Executive – il computer portatile alla frontiera della tecnologia nel 1982 – e pesa 100 volte di meno, ha un volume 500 volte inferiore e una velocità di calcolo 100 volte superiore. Il vorticoso calo del prezzo dei computer è il riflesso di due forze: primo, un progresso tecnologico molto accentuato che ha consentito di creare computer via via più potenti a parità di costo; ovvero di produrre una data potenza a costi sempre più bassi. Secondo, una struttura di mercato competitiva che ha fatto si che queste riduzioni di costo anziché trasformarsi in rendite di monopolio venissero trasferite agli utenti- consumatori e imprese – sotto forma di minori prezzi.
In finanza succede qualcosa di strano. Il costo dell’intermediazione è lo stesso oggi rispetto agli inizi del 1900; con poche trascurabili fluttuazioni si aggira intorno al 2% della massa intermediata, come mostrano Philippon per gli Stati Uniti e Bazot per un insieme di paesi europei.Non è poco: se un euro depositato presso una banca rende, poniamo, l’1%, potrebbe rendere il 2.5% se il costo d’intermediazione fosse ridotto allo 0.5%: un incremento di 2 volte e mezzo nell’interesse percepito.Perché il costo della finanza non è diminuito nel tempo? Certamente non perché non vi è stato progresso tecnico nell’industria o nell’economia. La finanza ha beneficato di innovazioni notevoli che hanno ridotto i costi di raccolta e di processing dell’informazione. Ad esempio abbassando il costo di monitoraggio edi screening dei debitori – si pensi ai sistemi di rating nel credito al consumo – rendendo possibile ridurre significativamente il costo di intermediazione a vantaggio dei clienti. Ciò non è avvenuto perché è mancato il secondo ingrediente – la pressione concorrenziale. La finanza è un’industria molto concentrata e protetta da una fitta regolamentazione che innalza i costi di ingresso di nuovi operatori impedendo il meccanismo naturale di riduzione dei prezzi: l’ingresso nel mercato degli innovatori. Gli operatori esistenti hanno notevole potere di mercato e molta influenza politica, e sono capaci di sfruttarla per erigere o conservare il proprio potere di mercato. Sperare di trasformare la struttura del mercato accrescendo gli incentivi a competere degli operatori esistenti è quasi impossibile: si pensi solo che in Italia la riforma delle banche popolari, sul tavolo da almeno tre decenni, è stata possibile solo perché l’alternativa era il fallimento di una parte di esse.
Tuttavia la rivoluzione tecnologica a cui stiamo assistendo – nota come FinTech – ovvero l’applicazione a una moltitudine di servizi finanziarie delle nuove tecnologie dell’informazione – apre la possibilità per mutare questo stato e costruire nuovi mercati finanziari aperti e competitivi. Le imprese FinTech sono create da nuovi operatori, non da vecchi intermediari con potere di mercato consolidato. Le loro nuove tecnologie consentono di produrre servizi finanziari ad ampio raggio, dai servizi di pagamento ai servizi di intermediazione e consulenza finanziaria, a costi molto più bassi di quelli a cui possono produrli gli attuali operatori.I protagonisti di questa rivoluzione per entrare nel mercato e acquisirne quote significative devono offrire i servizi ai risparmiatori e alle imprese a prezzi più bassi di quelli richiesti degli attuali intermediari.Compito della regolamentazione dovrebbe essere assicurare che questo processo possa avvenire, di fatto consentendo di rimpiazzare il vecchio con il nuovo. Anche se è più facile che smantellare un oligopolio esistente, garantire che i nuovi innovatori non incontrino barriere e possano iniziare a creare un mercato finanziario molto più competitivo di quello attuale è tutt’altro che semplice.
Ci sono almeno due grossi pericoli da cui un regolatore lungimirante dovrà guardarsi.
Il primo è che i vecchi intermediari si impadroniscano dei nuovi entranti smorzandone la carica innovativa e trasformandoi risparmi di costi in rendite per loro. Ad esempio acquisendo imprese FinTech al fine di diluirne l’impatto competitivo sul loro business. Questo è un rischio serio se si pensa che Goldman Sachs ha di recente acquisito, pagandola profumatamente, Honest Dollar, un robot advisor creato appena due anni fa. O, per rimanere in loco, al fatto che il primo robot advisor nato in Italia (Yellowadvice) nasce controllato da CheBanca – la banca commerciale di Mediobanca.
Il secondo pericolo è che presto gli attuali innovatori una volta entrati – magari perché favoriti da una regolamentazione aperta al nuovo – si trasformino in difensori strenui delle loro rendite al pari dei loro predecessori. Di fatto ricostituendo l’equilibrio oggi esistente. Entrambi questi rischi potranno essere evitati da una nuova regolamentazione molto coraggiosa e molto lungimirante che detti le regole oggi prima che questi entranti, ancora piccoli e poco influenti, diventino grandi e potenti, con capacità di veto sulle regole del mercato.