Con una pressione fiscale al 44,4% e il debito pubblico in ulteriore crescita al 130% del PIL (come si legge sul Documento di economia e finanza 2013) il Ministro Saccomanni evidenzia la necessità di tagliare la spesa pubblica. Non possiamo che essere d’accordo, ma sarà la volta buona?
Il nostro scetticismo non riflette assolutamente un giudizio di merito sulla buona fede e sulle capacità del Ministro. È tuttavia innegabile il fatto che da diversi anni ormai si parli di spending review ma questa parola è stata solo un contenitore vuoto, un annuncio politico senza però concretizzarsi in una efficace razionalizzazione della spesa pubblica. Quando si parla infatti di spending review si intende un processo di analisi delle voci di spesa pubblica al fine di individuare quelle più inefficienti e gli sprechi, risparmiando e liberando risorse per quelle spese produttive o imprescindibili. A partire dal 2006 questa operazione è stata avviata più volte, ma l’effetto concreto per le finanze pubbliche e per il cittadino è sempre stato quello di tagli lineari, ovvero la riduzione indiscriminata delle spese, colpendo quindi anche quelle produttive e quelle di previdenza sociale, con un alto rischio di effetti recessivi.
Lo stratagemma dell’annuncio della spending review ha quindi mostrato chiaramente i propri limiti. È tuttavia importante non fermasi a questa banale osservazione e provare ad analizzare il problema in tutta la sua importanza e complessità. Se consideriamo le diverse voci della spesa pubblica emerge chiaramente il ruolo dominante della componente legata alle pensioni, che ammonta a oltre 300 miliardi di euro su un totale di quasi 800 miliardi. Questa situazione è ovviamente determinata dall’invecchiamento della popolazione, dinamica che sta caratterizzando tutte le economie occidentali e in particolare l’Italia con un rapporto tra persone in età pensionabile e forza lavoro del 30%, ovvero un pensionato ogni tre lavoratori. C’è da auspicare che la controversa riforma Fornero possa almeno contribuire ad un’effettiva riduzione di questa voce di spesa, come sembra che dovrebbe essere l’effetto di medio periodo, e che abbatta i costi delle cosiddette pensioni d’oro, a favore di quelle più basse che spesso garantiscono a fatica uno stile di vita dignitoso.
La revisione delle spese pubbliche è quindi un tema fondamentale e complesso e sicuramente è stato affrontato nella maniera sbagliata. Quello che è mancato ai precedenti tentativi, o presunti tali, non è stata la capacità di individuare le voci di spesa critiche quanto la forte volontà politica necessaria per portare avanti il procedimento. Oltre alla riforma del sistema pensionistico è infatti fondamentale aggredire le spese della pubblica amministrazione, seconda voce di spesa. Perché quindi questo non viene fatto? Perché si continua a rimandare, tra le altre, l’abolizione delle provincie? Un’ipotesi potrebbe essere il fatto che il potere di scegliere i vertici delle amministrazioni locali rappresenti ad oggi un fondamentale canale attraverso cui i partiti esercitano la propria influenza e ricambiano favori. Ma è solo un’ipotesi, speriamo che possa essere smentita!
C’è da sperare quindi che il Governo sia più coraggioso dei precedenti e che riesca a far fare all’Italia qualche passo significativo nella riduzione delle spese inefficienti, senza scorciatoie ai danni dei cittadini e senza assecondare le esigenze di un sistema partitico in crisi. Servirà di sicuro tempo, risorse e soprattutto coraggio!