Vale la pena indebitarsi? Per una casa? Per un’auto? Per uno smartphone? In Italia è in aumento l’indebitamento delle famiglie, accompagnato da una contrazione dei risparmi. Dietro a questa dinamica non c’è solo la crisi economica, ma anche precise scelte della politica e delle famiglie stesse.
È difficile connotare l’aumento di prestiti ai privati, vi sono infatti almeno due punti di vista, entrambi ragionevoli e supportati da valide argomentazioni. C’è chi considera il facilitato accesso ai prestiti una democratizzazione del credito. In quest’ottica, gli individui riescono a beneficiare oggi dei guadagni futuri con cui ripagheranno il prestito, con forti ricadute positive per l’individuo stesso e per l’economia. Infatti le persone non avrebbero altrimenti le risorse per acquistare alcuni beni fondamentali, mentre dal punto di vista dell’economia nel suo complesso, si allarga in questo modo il mercato di alcuni prodotti che sarebbero altrimenti accessibili solo ai cittadini più abbienti.
Un altro punto di vista è di chi ritiene invece il prestito come un debito che incombe sull’individuo. Le argomentazioni a supporto di questa impostazione sono di diversa natura. Il prestito è visto infatti come un obbligo a ripagare in un futuro incerto: se peggiorassero infatti le condizioni reddituali dell’individuo, il rischio di non riuscire ad onorare il debito lo vincolerebbe economicamente e moralmente a chi detiene il credito. È inoltre opinione diffusa che l’accesso facilitato al credito/debito spinga l’individuo ad acquistare prodotti che non potrebbe permettersi e di cui non ha bisogno.
Senza addentrarci su vizi e virtù del credito/debito facile, è evidente che sia una questione di misura ed equilibrio. E questo equilibrio, per l’Italia sembra in procinto di rompersi. Vediamo quanto accaduto negli ultimi anni in termini di tassi di indebitamento e di risparmio delle famiglie, ossia le quote rispettivamente di debito e di risparmio in percentuale del reddito disponibile.
Negli anni 2000 (i dati OCSE arrivano purtroppo solo al 2010) l’indebitamento delle famiglie è aumentato in tutti i paesi considerati, con l’eccezione della Germania. In particolare Italia e Francia, che nel 2000 si trovavano a livelli di debito in percentuale del reddito disponibile tra i più bassi rispetto ai paesi sviluppati (rispettivamente al 53 e 66%), hanno visto un costante incremento del debito a fronte del reddito disponibile. È particolare la dinamica che si osserva negli Stati Uniti: il tasso di indebitamento è andato crescendo negli anni fino a raggiungere il 136% del reddito nel 2007, poi gli anni della crisi ne hanno visto una riduzione (pur mantenendosi molto elevato). In Italia non si riscontra un andamento simile, perché l’indebitamento delle famiglie, con l’eccezione del 2008 dove è rimasto stabile, è aumentato costantemente nello scorso decennio, raggiungendo quota 86% nel 2010.
Per avere un quadro più completo delle scelte finanziarie delle famiglie si considera anche l’andamento del tasso di risparmio. Ciò che salta agli occhi osservando il grafico è il crollo verticale delle famiglie italiane che si verifica tra il 2004, dove si risparmiava in media il 10,5% del reddito disponibile, e il 2010, quando la quota risparmiata era solo del 5%.
A spiegare questa dinamica vi sono certamente dei fattori legati alla situazione economica. La contrazione del reddito disponibile, più accentuata in Italia che non negli altri paesi considerati, ha un impatto non lineare sulle decisioni finanziarie: porta infatti a rivedere le scelte di risparmio prima di quelle relative ai consumi, per la tendenza a mantenere invariato il proprio stile di vita, e a quelle di indebitamento, sia per mantenere il tenore di vita sia perché legate a scelte di lungo periodo e magari effettuate in condizioni economiche più favorevoli.
Questa dinamica di aumento dell’indebitamento e riduzione del tasso di risparmio in Italia non è ascrivibile completamente alla crisi e alla riduzione del reddito disponibile ma era già in atto prima. Sta avvenendo un cambiamento delle abitudini finanziarie, con una riduzione della propensione al risparmio e un maggior ricorso al debito per finanziare le spese correnti. In questo contesto si collocano la scarsa attenzione e preparazione che hanno in media i cittadini nel curare le proprie finanze (come approfondito da un interessante articolo apparso sulla Stampa recentemente a firma di Mario Deaglio) e un atteggiamento della politica verso il risparmio per nulla tutelante e stimolante.
È importante quindi agire su questi due fronti, da un lato agevolare il processo di eduzione finanziaria, in modo da fornire agli individui gli strumenti per essere più consapevoli nella propria pianificazione, dall’altro che lo Stato orienti i propri sforzi a sostegno della ripresa del risparmio (come peraltro proclamato a gran voce dalle autorità in occasione della recente Giornata mondiale del risparmio). A tal proposito è necessario percorrere la duplice strada della riduzione del carico fiscale sul lavoro, in modo da sostenere i redditi disponibili, e dell’abolizione di quelle barriere, quali l’imposta di bollo, che gravano sui risparmiatori, in particolare i piccoli.
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