Le scelte dei consumatori contribuiscono a cambiare il mercato. Questo succede anche nel mondo degli investimenti, come racconta una recente ricerca sul settore del risparmio gestito americano. Negli ultimi 10 anni gli investitori hanno sottoscritto maggiormente i fondi di investimento con i costi più contenuti, provocando una riduzione dei costi dei prodotti. Lo stesso non è certo accaduto in Italia, anzi, ma non è detto che sia troppo tardi.
Una recente ricerca di Morningstar mostra come gli investitori americani stiano pagando sempre meno per la gestione dei fondi. Questa dinamica non è frutto di un’improvvisa e generalizzata generosità delle società di gestione ma bensì dell’aggregato delle scelte di investimento dei singoli. Negli ultimi 10 anni, infatti, il 95% degli investimenti in fondi comuni è andato al 20% degli strumenti con i costi più bassi, sia fondi passivi (ETF) sia fondi a gestione attiva ma a costi contenuti. Il risultato è stato un abbassamento dell’impatto medio dei costi (ponderato per le masse in gestione), che in cinque anni è passato da 0,76% a 0,64%. Insomma, sembra che i risparmiatori si stiano rendendo conto che il costo pagato annualmente per l’investimento è una forte determinante del rendimento, soprattutto nel lungo periodo e scelgono dunque gli strumenti che offrono il servizio migliore al prezzo più competitivo.
Per noi che guardiamo a questo fenomeno dal nostro paese, l’entusiasmo termina purtroppo qui. I dati che arrivano dall’Italia ci ricordano che i fondi comuni che raccolgono di più non quelli che sono andati meglio in passato ma neanche quelli che costano meno, anzi: sono quelli che convengono di più a chi li produce e a chi li vende. La storia tutta italiana del successo dei fondi a cedola con la finestra di collocamento ci dice che purtroppo siamo distanti anni luce dal mercato del risparmio gestito americano, dove i risparmiatori sono in grado di scegliere i prodotti più efficienti, impattando sulla struttura del mercato. Se si mantiene infatti questo trend negli Stati Uniti, le società di gestione che applicano i costi più alti per un servizio ritenuto non all’altezza, o comunque peggiore di quello della concorrenza, saranno costrette ad abbassarli o continueranno a perdere quote di mercato. Sembra invece che il risparmiatore italiano continui a essere il soggetto più debole del settore, schiacciato dai conflitti di interessi, complice un bassissimo livello di alfabetizzazione finanziaria.
In Italia i costi di un investimento sono tra gli ultimi aspetti che si valutano quando si acquista un prodotto finanziario. L’attenzione di chi investe e di chi vende si indirizza di solito verso i risultati passati, se ci sono, l’eventuale flusso di “cedole” (pagate anche attingendo al capitale del cliente) o la millantata capacità dello strumento di superare indenne qualsiasi condizione di mercato. A onore del vero bisogna dire che, anche se un risparmiatore fosse fermamente intenzionato a confrontare diversi fondi sotto il profilo dei costi, questa operazione potrebbe essere tutt’altro che agevole e si vedrebbe costretto a cercare e consultare la documentazione d’offerta di ogni fondo e a spulciare le tabelle alla ricerca del dato.
Se negli Stati Uniti, il risparmiatore è detentore di un certo potere di mercato, in Italia la parte del leone la fa la distribuzione, che troppo spesso però si trova a proporre soluzioni di investimento in evidente conflitto di interessi. Sono un chiaro esempio le banche che propongono quasi esclusivamente fondi comuni delle SGR di proprietà della banca stessa o reti che vendono prodotti su cui hanno dei forti incentivi economici.
Vi sono però alcuni segnali di cambiamento che potrebbero far pensare a un futuro migliore, anche per il risparmiatore italiano. Diverse realtà, soprattutto su internet, portano avanti attività di educazione finanziaria e sensibilizzazione su questo tema. AcomeA ha messo sul mercato i propri fondi anche a commissioni dimezzate, per tutti quei risparmiatori che non hanno bisogno di un servizio di consulenza. A livello di sistema infine, il recente avvio della negoziazione dei fondi comuni su Borsa Italiana apre un nuovo canale di accesso al mercato, dove, a costi ridotti, chiunque potrà accedere a tutto l’universo dei fondi quotati, indipendentemente dall’offerta di prodotti dalla propria banca, stimolando così la concorrenza e facendo dei costi (anche in Italia) un elemento di attenzione e di scelta.