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Nel teatro della politica italiana del 2018, se c’è un personaggio che più di ogni altro ha rubato la scena ai protagonisti Di Maio e Salvini questo è il Ministro per gli Affari Europei Paolo Savona.
82 anni, nato a Cagliari, nella sua carriera da economista Savona ha collaborato con il Premio Nobel Franco Modigliani ed è stato allievo di Guido Carli, divenendo in seguito professore di Politica Economica alla Luiss. Oggi, c’è addirittura chi sostiene che Savona sarebbe il Ministro “ombra” dell’Economia, in quanto il nuovo Def si discosterebbe parecchio dalla cosiddetta “Linea Tria”.
Ma quando si pensa a Paolo Savona, non può non ritornare alla mente il veto posto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulla sua nomina al Ministero per l’Economia del governo 5Stelle-Lega.
Troppo rischioso per i mercati, troppo scomodo per Bruxelles.
La figura di Savona è segnata da un marchio indelebile: aver teorizzato un Piano B sull’uscita dall’euro. Ma si commette un errore grossolano quando lo si dipinge frettolosamente come un anti-europeista.
Savona critica il sistema europeo fondato sul cieco rispetto dei parametri di Maastricht che secondo lui “avrebbe portato ad una caduta dei redditi e ad un peggioramento delle condizioni sociali sia in Italia sia in Europa“.
La mancata crescita economica in Europa e ancor più in Italia è un dato di fatto, sostiene il Ministro.
Nel 2018, il Pil reale italiano è ancora più basso dei livelli pre-crisi. Inoltre, rispetto alle altre economie avanzate, l’Europa è cresciuta a tassi nettamente inferiori.
Perché si chiede agli Stati di fare sforzi sul contenimento del deficit e del debito, leggasi austerity, anziché guardare alla crescita, all’occupazione e al benessere condiviso?
“Continuando con il pilota automatico l’Europa rischia di scontrarsi contro un iceberg”
Senza crescita, sostiene Savona, non ci può essere stabilità finanziaria e la stabilità finanziaria non può prescindere dalla stabilità sociale.
I cittadini non hanno ricevuto i giusti messaggi da Bruxelles e questo ha portato all’avanzata dei sovranismi. Per evitare che lo squilibrio politico e sociale porti a conseguenze ben più gravi, come la storia ci insegna, è necessario “europeizzare il cambiamento”. In questo nuovo quadro culturale ed economico l’Italia può giocare un ruolo da protagonista.
Sull’euro Savona non ha dubbi: “se vuoi un mercato unico devi avere una moneta unica”. Ma a supporto di moneta unica “ci vuole la presenza di uno Stato, cosa che l’Europa di oggi non è”.
Savona auspica un rafforzamento dei due pilastri, unione monetaria e unione economica, e di metterli al servizio dei cittadini europei.
Per questo è necessario adottare delle politiche adatte a compensare gli squilibri produttivi che persistono all’interno dell’eurozona. Per Savona, l’errore capitale dell’Europa è l’aver subordinato la politica fiscale alla politica monetaria.
“C’è tanta confusione perché la stampa e le televisioni generano allarmismi eccessivi”.
Savona trova incomprensibile per l’Italia pagare un differenziale del 3% (spread a 300) rispetto ai titoli tedeschi.
Questo valore non rispecchia per nulla i fondamentali del nostro Paese. L’Italia ha sempre rimborsato i suoi debiti e mostra una solidità delle finanze pubbliche ben più marcata rispetto ad altri paesi.
“Lo spread oggi è più che altro legato al rischio denominazione percepito dai mercati, cioè al fatto che l’Italia possa uscire dall’euro e ridenominare il suo debito in lire. Un’ipotesi che ritengo francamente impossibile”, ha commentato Savona.
Il nodo da sciogliere sulla questione spread riguarda il raggio d’azione della Bce: “se Francoforte si comportasse da Lender of Last Resort, la parola spread smetterebbe d’esistere.”
In pratica, secondo il Ministro, la Bce deve convincere i mercati sulla solvibilità del debito di un Paese Membro e garantirne l’acquisto quando questo è sotto attacco speculativo dei mercati.
Durante l’intervento al Senato, Savona ha paragonato il nuovo Def al New Deal di Roosevelt del 1933.
“In una situazione in cui la politica monetaria diventa più restrittiva e le politiche commerciali mondiali si fanno più protezionistiche c’è bisogno di un maggior intervento dello Stato per sostenere i consumi, la crescita e combattere la povertà“.
Si tratta di un programma ambizioso che punta agli investimenti pubblici e alla necessità di sbloccare gli ingranaggi che frenano lo sviluppo delle imprese.
Tutti i dettagli sulle misure del nuovo Def, li trovi in questo articolo.
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