A distanza di circa dieci anni, ancora oggi l’opinione comune si interroga sui fatti che hanno innescato la crisi economico-finanziaria del 2007-2008.
Abbiamo deciso di ripercorrere passo dopo passo le vicende che hanno portato alla più grave crisi finanziaria dopo quella del 1929, cercando di fare tesoro dei principali errori commessi.
Troppo credito facile all’economia
Anche se siamo tutti concordi nell’attribuire l’inizio della crisi al fallimento di Lehman Brothers, avvenuto il 15 settembre 2008, le dinamiche che portarono a questo evento affondano le loro radici molto tempo prima.
Uno dei fattori principali che diede impulso alla crisi finanziaria del 2007-2008 è stato determinato dall’enorme accumulazione di debito, soprattutto nel settore privato, che si registrò negli Stati Uniti sin dall’inizio degli anni 2000. Tuttavia è opportuno tenere a mente che un debito così elevato si accumula solo grazie ad una spropositata facilità nel concedere credito.
La Federal Reserve, la banca centrale americana, ridusse infatti per ben 11 volte i tassi d’interesse sui depositi (dal 6,5% nel giugno 2000 al 1,75% nel dicembre 2001) generando un massiccio ed eccessivo afflusso di liquidità nell’economia.
Fonte: Federal Reserve Economic Data – FRED
I mutui subprime e la bolla immobiliare
Considerando un costo del denaro così basso, improvvisamente, durante il periodo 2001-2004, molti americani iniziarono a percepire la sensazione di poter finalmente realizzare il sogno di una vita: possedere una casa di proprietà.
Le banche, infatti, erano ben disposte a concedere mutui immobiliari a clienti privi o quasi di reddito o che non fornivano adeguate garanzie circa il pagamento del debito. Era iniziata l’era dei cosiddetti mutui subprime.
In un clima di credito facile, i prezzi delle case imboccarono una spirale verso l’alto rendendo gli investimenti in mutui subprime la nuova corsa all’oro per le banche.
Dopo tutto, le banche erano consapevoli che gran parte dei mutuatari subprime non sarebbe stata in grado di ripagare il mutuo. Ma allora perché continuavano a offrire mutui sul mercato?
In caso di fallimento dei mutuatari subprime, le banche potevano, infatti, riappropriarsi degli immobili e rivederli sul mercato ad un prezzo più elevato dell’ammontare del mutuo concesso.
Fonte: Federal Reserve Economic Data – FRED
Ingegneria finanziaria e rischi sottovalutati
Il terzo elemento che portò alla crisi fu legato all’innovazione finanziaria e alla diffusione di un’apparente sicurezza sul mercato.
Attraverso l’uso di sofisticati strumenti derivati e opzioni, si realizzò la cartolarizzazione dei mutui subprime. Per intenderci, i mutui subprime esistenti furono raggruppati e trasformati dalle banche in titoli obbligazionari negoziati sui mercati e garantiti dai mutui stessi (CDO – Collateralized debt obligations).
Alcune tranches di questi titoli ottennero anche il maggior grado di merito creditizio da parte delle principali agenzie di rating mondiali.
Si pensava che l’eventuale crollo dei titoli cartolarizzati si sarebbe potuto verificare soltanto nell’ ipotesi in cui i mutuatari subprime fallissero e il valore delle abitazione non sarebbe stato sufficiente a ripagare gli investitori. Con un mercato immobiliare galoppante le possibilità di un simile evento sembravano alquanto improbabili.
Il settore bancario iniziò inoltre utilizzare assiduamente i titoli cartolarizzati come garanzia per le operazioni di prestito interbancario. Ancora una volta un debito finiva per generare un ulteriore nuovo debito, trasferendo i rischi del mutuatario direttamente sul mercato.
Il panico sconvolge i mercati
Il giocattolo dei mutui subprime si era rotto nel 2005, quando più del 70% degli americani possedeva di una casa di proprietà e la domanda di nuovi mutui inizio a ridursi. Questa situazione determinò lo scoppio della bolla immobiliare.
I prezzi iniziarono a scendere poiché fino a quel momento erano stati pompati dall’elevata capacità di concedere mutui da parte delle banche.
Tra marzo e aprile 2007, i debiti subprime cartolarizzati innescarono la prima serie di fallimenti. Una delle prime vittime fu Bear Stearns Companies, Inc. che fu in seguito acquisita da JP Morgan Chase & Co.
La situazione si aggravò molto rapidamente all’inizio del settembre 2008. Fannie Mae e Freddie Mac, due agenzie parzialmente pubbliche responsabili del rifinanziamento dei prestiti immobiliari alle famiglie, hanno dovuto affrontare grandi difficoltà.
La crisi finanziaria del 2007-2008 ha ripetutamente posto i regolatori dinanzi a un bivio: rischiare un contagio catastrofico lasciando fallire le singole banche oppure intervenire con aiuti pubblici cercando in tutti i modi di salvarle (“Too big to fail”).
Il 15 settembre 2008, Lehman Brothers, uno dei maggiori player dell’industria finanziaria globale, dichiarò bancarotta con passività che ammontavano a circa 700 miliardi di dollari. L’evento ebbe una rilevanza sistemica mettendo sotto pressione tutte le banche d’affari statunitensi e generando un effetto domino negli altri mercati finanziariamente evoluti.
La crisi finanziaria del 2007-08 ci ha insegnato che le aspettative sui mercati finanziari, una volta disattese, sono difficili da ripristinare rapidamente. In un mondo interconnesso e globalizzato come quello attuale, una crisi di liquidità può trasformarsi rapidamente in una crisi di solvibilità per le istituzioni finanziarie, generando pressione per le finanze dei paesi sovrani e innescando un crollo della fiducia dei risparmiatori e delle famiglie.
La recessione economica a seguito della crisi è durata per molti anni, sopratutto in Europa, ma con il tempo i mercati finanziari sono stati in grado di riprendersi e di uscirne ancora una volta più forti di prima.
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