Le banche non prestano più soldi alle imprese. Vero. Però c’è anche un’altra verità. Le imprese non chiedono più soldi alle banche.
La riduzione del credito bancario alle imprese è sotto gli occhi di tutti. L’esposizione della crisi ha messo sotto pressione i bilanci delle banche che si sono trovate a detenere una quota crescente di crediti che saranno difficilmente restituiti. Nuove leggi sulla regolamentazione bancaria hanno imposto dei rapporti tra capitale proprio e attività che hanno costretto diverse banche ad aumentare il capitale proprio o a ridurre gli attivi. La Banca centrale europea, allo scopo di sostenere l’economia, ha immesso negli ultimi anni un’ingente mole di liquidità nel sistema, denaro che è stato prestato a tassi sempre più bassi alle banche, con l’obiettivo (formalmente) di abbassare il costo del finanziamento per le imprese.
È cronaca che non sia andata così. I soldi prestati dalla BCE alle banche sono stati investiti in Titoli di Stato, che offrivano un buon rendimento e un rischio più contenuto di quello delle singole imprese. Oggi, dopo diversi anni di liquidità facile e una situazione di minore incertezza sui bilanci bancari ci si aspetterebbe che il credito ripartisse. Eppure non è così. La banca centrale continua a fornire liquidità a tassi prossimi allo zero, quasi gratis, quindi per una banca fare un prestito ad un tasso, poniamo, del 3%, significherebbe avere un margine elevato, mentre i tassi sui titoli di Stato sono decisamente meno interessanti di quanto non fossero qualche anno fa. Le banche invece stentano a riprendere a erogare crediti alle imprese, minimizzano i rischi a cui si espongono e piuttosto si dedicano a business del tutto estranei al loro lavoro (vedi il caso emblematico di Unicredit che ha recentemente iniziato a vendere un po’ di tutto, dagli scooter ai cellulari, nelle proprie filiali). Sarà necessario che le banche tornino a fare il proprio lavoro, finanziando l’economia, valutando i rischi d’impresa e adeguando il costo del mutuo. Questa faccia della medaglia però non esaurisce la complessità del problema.
Se le banche hanno, negli ultimi anni, irrigidito i criteri con cui concedere credito, si osserva che anche le imprese hanno ridotto gli investimenti, non solo negli anni della crisi, ma negli ultimi vent’anni. Una recente ricerca del professor Riccardo Gallo ha analizzato l’evoluzione dell’età media degli impianti di produzione e dei flussi di cassa accumulati dalle aziende italiane. Nel 1992 l’età media dei mezzi di produzione era di nove anni. Successivamente è andata crescendo costantemente, fino a raggiungere gli attuali diciannove. Gli imprenditori hanno quindi rimandato sempre di più la sostituzione degli impianti, e non solo per mancanza di risorse. Il dato infatti più allarmante è che negli anni in cui andava aumentando l’età degli impianti, cresceva rapidamente la cassa nei bilanci delle imprese. Gli imprenditori italiani hanno scelto di accantonare risorse anziché investirle. A guidare questa dinamica potrebbero aver concorso diversi fattori, come la volontà di ingrassare la cassa per fare fronte a difficoltà impreviste, evitando di dover dipendere dal credito bancario, o la mancanza di incentivi fiscali.
Dai risultati della ricerca emerge un’indicazione importante: focalizzarsi solo sul canale del credito bancario per fare ripartire gli investimenti è una soluzione non sufficiente al problema. Bisogna mettere le aziende italiane nella condizione di trovare interessante rischiare il proprio capitale, investire e creare valore e lavoro.