I Buoni Fruttiferi Postali sono, nell’immaginario collettivo, associati all’idea di semplicità e convenienza. Questa immagine rassicurante dei Buoni Fruttiferi Postali ha dato origine a diversi prodotti bancari con nomi e caratteristiche che in qualche modo richiamano il caro vecchio buono fruttifero. Ma sono vantaggiosi? Vediamo come questi prodotti reggono il confronto con l’inflazione e con i titoli di stato.
I Buoni Fruttiferi Postali sono considerati da qualcuno addirittura il miglior investimento disponibile per il piccolo risparmiatore. Su queste pagine abbiamo già argomentato che i Buoni Fruttiferi Postali sono tutt’altro che convenienti e spesso neanche semplici. Le Poste continuano a vivere di rendita sull’immagine rassicurante dei Buoni Fruttiferi, facendo leva soprattutto su quella che risulta essere l’unica peculiarità interessante, ossia la garanzia sul capitale, venduta però a caro prezzo.
Malgrado ciò, i Buoni Fruttiferi Postali continuano a essere uno strumento diffusissimo nei portafogli di investimento degli italiani. Del riflesso di questo successo hanno approfittato diversi istituti bancari creando prodotti di risparmio con nomi e caratteristiche simili ai Buoni Fruttiferi Postali. Tra le diverse offerte abbiamo preso in considerazione quelle proposte dai due principali istituti di credito, Intesa Sanpaolo e Unicredit, rispettivamente con i Buoni di Risparmio e i Buoni Fruttiferi Salvadanaio Free. Entrambi i prodotti sono forme di deposito proposte ai propri correntisti che offrono tassi di interesse più elevati del conto corrente a fronte di un vincolo sulla disponibilità del capitale che varia da qualche mese fino a due anni.
Il Buono Fruttifero Salvadanaio Free si caratterizza per un vincolo di 2 anni remunerato allo 0,60% lordo annuo con un importo minimo di 1.000 euro. I Buoni di Risparmio di Intesa Sanpaolo hanno una scadenza che varia da un mese a due anni, con una struttura di tassi crescente al crescere della durata, fino ad un massimo dello 0,45% lordo annuo, sempre con un importo minimo di 1.000 euro.
Convengono? Il primo parametro che si considera per valutare la convenienza di un investimento su un orizzonte temporale ridotto è l’inflazione, attualmente allo 0,35%. Il prodotto di Intesa Sanpaolo, su vincoli di durata inferiore ai 2 anni, offre rendimenti inferiori e quindi negativi in termini reali. Data la natura del prodotto e il taglio minimo, sembra sensato comparare questi derivati dei buoni fruttiferi postali con dei titoli di Stato di scadenze simili. Ad oggi, un CTZ con scadenza inferiore ai 2 anni ha un rendimento lordo pari allo 0,4%, leggermente inferiore a quello offerto da entrambi i prodotti, ma parliamo davvero di pochi centesimi. Inoltre, se accorciamo la durata del vincolo sul Buono di Risparmio di Intesa Sanpaolo troviamo addirittura scadenze su cui il tasso offerto è minore rispetto a quello di un BOT di pari durata.
Attenzione alla tassazione
Se già i “buoni” considerati non sembrano particolarmente competitivi sotto il profilo del rendimento lordo, quando consideriamo l’effetto della tassazione viene meno ogni dubbio. Dato il trattamento di favore del fisco per i titoli statali rispetto a quelli privati, con un’imposta sugli interessi del 12,5% per i primi e del 26% per i secondi, la differenza di rendimento si assottiglia ancora di più, e diventa addirittura favorevole quella del CTZ rispetto ai Buoni di Risparmio proposti da Intesa Sanpaolo.
L’impatto dell’imposta di bollo dovrebbe essere lo stesso tra i titoli di stato e i buoni offerti dalle banche, applicata in misura proporzionale sugli importi depositati secondo un’aliquota del 2 per mille. Dovrebbe, perché il foglio informativo del prodotto di Intesa Sanpaolo scrive invece che il Buono di Risparmio è esente da imposta di bollo per giacenze medie annue inferiori ai 5.000 euro, alla stregua di un conto corrente. Questa applicazione sembra però in aperto contrasto con quanto esplicitato nella circolare n.15/E del 10 maggio 2013, dell’Agenzia delle Entrate. Se interessati a sottoscrivere il prodotto si consiglia di chiedere chiarimenti in merito per evitare di subire la stessa sorte toccata ai correntisti di Webank.
Sembra proprio che i “buoni” condividano con Buoni Fruttiferi Postali sia l’osannato richiamo alla sicurezza sia la scarsa convenienza, con rendimenti netti in alcuni casi inferiori ai titoli di Stato. Rispetto ai buoni fruttiferi postali, gli omonimi bancari offrono rendimenti leggermente più elevati ma scontano una tassazione più pesante, in quel caso anche in termini di imposta di bollo.
Di questi tempi in cui i tassi sono estremamente bassi, gestire in maniera efficiente i propri capitali, anche se contenuti, potrebbe richiedere decisioni quali ad esempio investire una parte di questi in azioni, piuttosto che diversificare in valuta, o allungare l’orizzonte temporale dell’investimento. È importante dunque valutare quali sono le proprie esigenze, quale la propria propensione al rischio e quale l’intervallo di tempo su cui si ritiene poter investire. Ognuna di queste riflessioni è però totalmente accantonata dalla ricerca spasmodica dell’investimento senza rischio da parte dei risparmiatori e dall’offerta di sicurezza, venduta a caro prezzo (o a bassi rendimenti) da parte degli operatori del settore.