Per te, ogni due settimane, una selezione dei migliori articoli del blog.
Se avete dato un’occhiata, anche distratta, ai giornali, avete ascoltato la radio o guardato un telegiornale in questi ultimi due giorni non vi sarà sfuggita una cosa: la Cina ha svalutato la propria moneta, con risultati catastrofici sulle Borse di tutto il mondo.
“I fondi comuni sono cari. Conviene comperare un ETF (un fondo passivo che replica l’andamento di un indice) ad un costo molto inferiore. Risparmiando sui costi si migliora il proprio rendimento potenziale, investendo comunque in uno strumento diversificato e accessibile”. Questa affermazione, che si legge e si sente di frequente, è in parte vera ma anche parecchio approssimativa. Anzi, i fondi comuni sono per molti risparmiatori uno strumento di investimento molto più adatto rispetto ad un ETF. Ecco perché.
Meglio tardi che mai. Consob, l’autorità italiana per la vigilanza dei mercati finanziari, ha finalmente puntato il dito contro la pratica, diffusissima, della vendita ai risparmiatori di fondi comuni di diritto estero. Il pericolo che evidenzia Consob deriva dalla diversa normativa tra paesi sul calcolo delle commissioni di performance. Ai fondi comuni di diritto italiano Banca d’Italia impone un metodo di calcolo, migliorabile, ma comunque tutelante il risparmiatore, cosa che invece non accade per i fondi esteri, ad esempio lussemburghesi o irlandesi.
La Grecia ha passato in condizione di fallimento circa metà della propria storia, dall’indipendenza ai giorni nostri. Entro la fine del mese dovrà ripagare al Fondo Monetario Internazionale (FMI) un prestito in scadenza per 1,6 miliardi di euro. Dopo molti mesi di trattative, incontri e scontri tra il governo e i creditori istituzionali, l’attenzione dei media si concentra più che mai sulla questione greca. Proviamo quindi a fare un po’ di chiarezza sui possibili scenari futuri e cerchiamo di capire come si può trovare una via di uscita sostenibile per la Grecia e per i suoi creditori.
Fondi comuni, clienti beffati. Questo il titolo di un recente articolo pubblicato dal settimanale L’Espresso sul tema delle commissioni di performance. Emerge che queste commissioni rappresentano buona parte degli utili di diverse grandi società di gestione italiane, ma non sempre sono applicate in maniera coerente con l’obiettivo. Ecco cosa sono, come funzionano e in quali casi sono un costo ingiusto sulle spalle dei risparmiatori.
La necessità di aumentare gli investimenti degli italiani nell’economia reale è riecheggiata in questi anni nei proclami dei politici e rappresenta effettivamente una grande sfida che, se vinta, potrebbe stimolare l’occupazione e la crescita dell’Italia. Le misure fiscali adottate però in materia di investimenti sono state fino ad oggi parziali, nella migliore delle ipotesi, o spesso in aperto contrasto con questo fine.
Si è finalmente concluso il teatrino burocratico che ha coinvolto Banca d’Italia e poi il Parlamento per la definizione e approvazione degli ultimi tasselli normativi necessari per permettere ai risparmiatori di negoziare i fondi comuni italiani in Borsa.
Il 2014 è stato l’anno dei record per il risparmio gestito. In questi mesi gli italiani hanno investito in fondi comuni oltre 86 miliardi di euro. La raccolta è stata però tutt’altro che equamente distribuita tra le varie migliaia di fondi comuni disponibili ai risparmiatori italiani. I dieci fondi comuni che hanno visto gli afflussi di capitale più consistenti, spesso superiori al miliardo di euro, rappresentano circa il 16% della raccolta totale.
Nel mondo che conosciamo si prestano dei soldi a qualcuno in cambio di un interesse: un po’ di denaro in più rispetto a quanto si è prestato inizialmente. Abbiamo sempre pensato che per un’azienda o per uno Stato avere un debito elevato fosse un problema perché su questo debito si pagano annualmente degli interessi. Il debito rappresenta un costo. Nel mondo a cui ci stiamo affacciando adesso, paradossalmente, il debito potrebbe diventare una risorsa.
Il Governatore della BCE, Mario Draghi, ha annunciato un piano di acquisto di titoli per l’ammontare di 1100 miliardi di euro, suscitando gli entusiasmi dei commentatori e dei mercati. Proviamo qui a fare un passo indietro e a chiarire cos’è un’operazione di Quantitative Easing, e vediamo, nei limiti del possibile, quali sono gli effetti per i risparmiatori.