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Too big to fail. Banche e istituzioni finanziarie troppo grandi per fallire. Il termine ci è diventato familiare allo scoppio della crisi nel 2008, quando le grandi banche americane sono state additate come uno dei principali responsabili della crisi e della sua propagazione. Da un rapporto del Fondo Monetario Internazionale (FMI) scopriamo che le istituzioni troppo grandi per fallire sono ancora un problema e che, in Europa, continuano a espandersi.
Il tema della concorrenza, intesa come libera scelta e possibilità di cogliere le migliori opportunità sul mercato, senza imposizioni da parte dello Stato o vincoli imposti da coalizioni d’imprese, è spesso difficile da affrontare soprattutto nel sistema del risparmio gestito italiano.
Dal 2011, con l’insediamento del Governo Monti, la politica ed il fisco hanno scoperto la ricchezza degli italiani come possibile fonte di entrate fiscali. Negli ultimi tre anni sono aumentate le imposte sulla casa e sono state istituite imposte sulla ricchezza finanziaria; è stata rivista la tassazione degli affitti ed è stata aumentata la tassazione di (alcune) rendite finanziarie.
I buoni fruttiferi postali non sono certo noti per la loro efficienza, anzi. Eppure sono una delle attività finanziarie più diffuse tra le famiglie italiane. Non tutte però. Ecco chi acquista buoni fruttiferi e perché.
Il risparmio rappresenta un valore costituzionale. A fissare questo principio è la Costituzione Italiana che all’art.47 sancisce l’incoraggiamento e la tutela del risparmio “in tutte le sue forme” e il suo accesso “diretto e indiretto all’investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”. E allora come è possibile che nel momento del bisogno proprio lo Stato si dimentichi del dettato costituzionale attuando politiche aggressive invece che protettive e incoraggianti?
La proposta del governo di innalzare la tassazione sui redditi da investimento, ma solo sul settore privato, preservando invece le rendite su tutti i titoli di Stato, suggerisce l’idea che chi investe nel sistema produttivo sia un ricco speculatore, mentre chi investe in titoli di Stato faccia il bene collettivo. È proprio così?
Dalle modifiche di dicembre ritenevamo che l’imposta di bollo incombesse un po’ meno minacciosa sul piccolo risparmio, quando Webank, banca online di Banca Popolare di Milano, ha deciso di giocare un brutto tiro ai propri correntisti, cambiando l’applicazione della norma sui propri prodotti retroattivamente.
“Guadagni immediati”! “Rapido, facile e redditizio”! “Ottieni fino al 71%”! A fare un giro per il web sembra che garantirsi di che vivere non sia più un problema. Anzi, esiste uno strumento per diventare ricchissimi in pochi giorni, pochi minuti addirittura. Come non averci pensato prima?
Il termine Bitcoin è sulla bocca di tutti, il suo valore cresce di giorno in giorno ed ormai è diventato di uso comune. In Cina spopola, mentre negli Stati Uniti sono già stati istallati i primi bancomat dedicati, ma in molti ancora non sanno di cosa si tratta. Cos’è dunque il Bitcoin?
La lira turca non è più un porto sicuro! Gli emergenti affossano le borse! I media possono fornire informazioni utili per investire? Se leggo il giornale tutti i giorni, sarò più in grado di capire quello che accade sui mercati? Riuscirò a investire e disinvestire al momento giusto? Probabilmente no.