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Alitalia: ombre e luci

I commenti sulla vicenda del nuovo aumento di capitale necessario per la sopravvivenza di Alitalia e sull'ingresso delle Posta Italiane nell'azionariato sono quasi tutti scettici. Giustamente, il livello di allarme è alto e cerca di mettere in guardia dall'ennesimo, inutile, salvataggio di Stato.

di Roberto Brasca - 15 Ottobre 2013 - 4'

I commenti sulla vicenda del nuovo aumento di capitale necessario per la sopravvivenza di Alitalia e sull’ingresso delle Posta Italiane nell’azionariato sono quasi tutti scettici. Giustamente, il livello di allarme è alto e cerca di mettere in guardia dall’ennesimo, inutile, salvataggio di Stato.

In effetti, Alitalia suscita una discreta antipatia tanto nei commentatori come negli utenti – quanti viaggiatori italiani da anni evitano i voli Alitalia! Dunque, dovranno pure esserci delle ragioni per questa animosità.

Alitalia sembra proprio essere il prototipo dell’economia pubblica che ha caratterizzato il sistema economico italiano nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale. Mancanza di capitali privati, necessità di fornire infrastruttura al Paese, logica di capillarità dei servizi nazionali hanno fatto sì che l’economia italiana uscisse dalla “ricostruzione” del dopoguerra con una prevalenza dell’“operatore pubblico” nella proprietà e nella gestione delle imprese di grandi dimensioni (energia, telecomunicazioni, banche, aviolinee, cantieristica, difesa, ecc.). Anni e anni di gestione volta al mantenimento dell’attività indipendentemente dal conseguimento del profitto hanno creato sacche enormi di inefficienza e di distorsioni comportamentali nella conduzione di una parte così grande dell’economia nazionale. Le privatizzazioni degli anni ’90 hanno poi imposto alla maggior parte delle grandi imprese italiane di passare ad una logica di confronto con il mercato per il conseguimento dell’utile di esercizio, obiettivo irrinunciabile per la continuità aziendale.

Per Alitalia questo non è avvenuto. Alitalia è rimasta, nonostante la privatizzazione, una società con una incapacità strutturale di conseguire l’economicità di gestione positiva.

E’ velleitario oggi voler capire dall’esterno quali sono state le condizioni di costi, di ricavi, manageriali o addirittura politiche, che hanno determinato un esito così negativo. Probabilmente l’immobilismo strategico di fronte all’avvento dei vettori low cost, la missione di effettuare collegamenti economicamente sconvenienti in regime di “servizio nazionale”, le condizioni contrattuali sfavorevoli con gli aeroporti italiani in presenza dei troppi scali a vocazione locale desiderosi di assicurarsi il traffico delle compagnie low cost, l’ambivalenza della doppia candidatura di Malpensa e di Fiumicino ad essere l’hub di riferimento, l’incuranza manageriale sul fattore critico della puntualità e dell’accuratezza del servizio, sono solo alcune delle criticità gestionali di questi ultimi anni.

Eppure esistono anche dei potenziali punti di forza (!!) per un vettore aereo nazionale italiano:

a)la conformazione geografica del Paese, stretto, allungato, con due grandi isole

b) la numerosità degli abitanti

c) la posizione di ponte centrale sul Mare Mediterraneo (area tra l’altro di sviluppo prospettico)

d) l’elevata intensità di traffico “business” nelle regioni settentrionali

e) l’elevata intensità del traffico turistico delle regioni centro-meridionali.

Del tutto inadeguato risulta al riguardo il paragone con le fallite Swissair (CH) e Sabena (BE), compagnie nazionali di piccoli Paesi con bacini d’utenza nettamente inferiori a quello italiano.

Oggi l’Italia, entrata con la zavorra di un debito pubblico enorme e di un sistema politico debole in una crisi mondiale che non le apparteneva, lotta per mantenere il controllo delle infrastrutture nazionali in difficoltà, che gli stranieri vorrebbero acquistare a prezzi da saldo. Risalta come, a differenza di quanto accada altrove, in Italia non esista alcun orgoglio nazionale, alcun senso di tenacia per voler operare con successo sul proprio territorio. Anzi, l’atteggiamento rinunciatario sconfina talvolta nella consegna ad altri delle iniziative economiche. Nel caso di Alitalia, l’ostilità nei confronti del nuovo progetto assume toni demagogici ed evoca i miliardi di euro di denaro “pubblico” (oggi si usa dire dei contribuenti) sprecati. E’ vero, esiste questo rischio, gli insuccessi del passato sono alla radice della sfiducia del presente.

Tuttavia l’attenzione dovrebbe essere concentrata sulla predisposizione delle condizioni di base perché “questa volta sia diverso”. La massima allerta si rivolga allora a porre le premesse perché il management che si insedierà possa agire libero da qualsiasi vincolo, sia esso di natura politica, di natura sociale, di natura concettuale, che possa condizionare il conseguimento dell’utile di esercizio. E ben venga un aumento di capitale con la partecipazione – moderata – delle Poste Italiane, se la ripartenza è sana nei principi gestionali ed aperta a tutte le opzioni strategiche in un settore globale, dove il regime di ristrutturazione permanente è condizione di sopravvivenza.

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