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La MMT (Modern Monetary Theory) è senz’altro uno dei temi più discussi nei dibattiti politici ed economici degli ultimi tempi.
Si tratta di un nuovo approccio alla macroeconomia che ribalta totalmente il modo di pensare comune alla moneta e al debito pubblico. Tutti noi infatti crediamo che uno stato debba necessariamente tassare prima di spendere. Per la MMT, il panico che si genera attorno al deficit e al debito pubblico è del tutto insensato. Ma pian piano ci arriveremo…
La Teoria Monetaria Moderna (MMT) è una teoria economica che si sviluppa negli anni ’90 negli Stati Uniti ad opera dell’economista e investitore americano Warren Mosler.
Dopo aver fondato una società di investimenti finanziari, Mosler decide di dedicarsi alla ricerca accademica. Sin da subito, stringe rapporti con famosi economisti come Arthur Laffer, l’inventore della “Curva di Laffer” che mette in relazione la pressione fiscale con il gettito. Laffer avvicina Mosler ad un gruppo di economisti cartalisti e post-keynesiani, tra cui la docente di economia politica Stephanie Kelton. Grazie al contributo offerto di Mosler nasce così una nuova teoria economica chiamata MMT.
In particolare, non è necessario che il governo imponga le tasse prima di spendere, poiché la spesa può essere finanziata facendo ricorso al denaro stampato dalla banca centrale.
In altre parole, la spesa pubblica non è più vincolata dalle entrate fiscali.
La banca centrale non è più un’istituzione separata e indipendente, come invece lo è oggigiorno la Bce in Europa, ma torna a servizio della politica fiscale del governo.
Un momento…
La MMT sostiene che non occorre fissare le imposte per sostenere qualsivoglia livello di spesa poiché la banca centrale può sempre stampare tutto il denaro necessario per finanziare il deficit pubblico.
E fin qui, potremmo dire che non c’è nulla di nuovo rispetto al celebre gioco del “Monopoli”. Ma se prendiamo come esempio gli Stati Uniti, la MMT può avere implicazioni molto interessanti.
Secondo la MMT, le tasse hanno una duplice funzione.
In primo luogo, creano la domanda di moneta da parte di imprese e famiglie che sono costrette appunto ad ottenere denaro per pagare le tasse.
Le tasse inoltre riducono il potere di spesa all’interno dell’economia controllando l’inflazione, come spiegheremo più avanti.
La banconota da 1 dollaro, che tutti i cittadini americani tengono in tasca, rappresenta un credito da loro vantato nei confronti del governo federale. I dollari infatti non sono altro che una passività emessa dal governo federale degli Stati Uniti, sotto la promessa di accettarli nuovamente come pagamento delle tasse.
Forte vero?
L’obiettivo che si pone di raggiungere la MMT è ben diverso da quello adottato oggi dalle principali banche centrali mondiali che puntano esclusivamente a contenere l’inflazione.
Secondo la MMT, l’obiettivo del governo (e della banca centrale a suo servizio) dovrebbe essere quello di garantire la piena occupazione dei fattori produttivi (capitale e lavoro). Negli Stati Uniti, la piena occupazione equivale ad un tasso di disoccupazione pari all’incirca al 3% o giù di lì. Inoltre, se un’economia si trova al di sotto del suo massimo potenziale non si sono rischi inflazionistici derivanti dall’espansione del deficit di bilancio.
Si parla di monetizzazione del debito quando un governo prende in prestito denaro dalla banca centrale per ripagare i suoi creditori. Quando questo processo è fuori controllo, la monetizzazione del debito può portare ad una massiccia svalutazione monetaria e episodi di iper-inflazione, come quello accaduto in Venezuela.
Monetizzare significa convertire in denaro. La monetizzazione del debito si verifica quando un governo si indebita in valuta estera che è costretto a convertire, o monetizzare, in valuta nazionale. In un senso generale, il debito di uno stato è il denaro, e la spesa in deficit è il processo per monetizzare qualunque cosa acquisti il governo. Se quest’ultimo è in grado di stabilire il tasso di interesse che regola l’economia, la dimensione degli acquisti e delle vendite del debito pubblico non sono discrezionali.
Torniamo all’esempio del genitore e dei figli.
Supponiamo che il genitore conceda ai figli dei biglietti di carta aggiuntivi (cioè interessi) sul deposito delle banconote. I bambini potrebbero voler tenere in mano alcune banconote, da utilizzare magari tra loro per comodità.
Le banconote non necessarie per le transazioni tra fratelli possono essere depositate presso il padre e costituiscono il debito in capo al genitore.
Più alta è la promessa di banconote aggiuntive (tasso di interesse) da parte del genitore, maggiore sarà il risparmio all’interno della casa.
Si noti inoltre che il genitore non prende a prestito dai figli per finanziare i lavori domestici e l’offerta di pagare interessi (finanziare il deficit) non riduce la ricchezza (misurata dal numero di banconote) di ciascun bambino.
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