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Quasi 300 miliardi di dollari, pari all’8% del Pil, 6 volte l’ordine di grandezza dell’Italia. Sono gli impressionanti numeri del surplus commerciale della Germania.
È tutto oro quel che luccica? Neanche per sogno.
La prestigiosa rivista “The Economist” ha definito il surplus commerciale della Germania una seria minaccia per gli equilibri economici e commerciali globali. (Articolo qui)
Ma andiamo con ordine per spiegare i motivi di questa accusa. La bilancia commerciale di un Paese, vale la pena ricordarlo, si misura come la differenza tra esportazioni e importazioni. Si registra un surplus commerciale, proprio quando le esportazioni sono maggiori delle importazioni.
In pratica, il surplus tedesco rappresenta un eccesso di risparmi a livello nazionale e questo significa che altri paesi si stanno indebitando. Mentre il tasso di risparmio delle famiglie tedesche è rimasto stabile, il governo e le imprese nazionali lo hanno aumentato, riducendo l’import dall’estero.
L’esplosione del surplus commerciale tedesco coincide cronologicamente con due eventi che hanno cambiato il destino della Germania e del continente europeo.
La riduzione dei salari dei lavoratori tedeschi da un lato e l’adozione dell’euro dall’altro.
Limitando il potere dei sindacati e abbassando i salari dei lavoratori, la Germania ha promosso una svalutazione interna che ha portato ad una maggiore competitività delle merci tedesche.
Ma è anche e soprattutto grazie all’adozione di una moneta unica in Europa, che la Germania ha avuto la possibilità di attrarre domanda da Paesi che precedentemente erano sfavoriti dal punto di vista del cambio con il marco tedesco.
Questi grafici sotto, mostrano l’andamento delle esportazioni e importazioni tedesche con i principali partner commerciali e con il resto del mondo.
Come sostengono numerosi economisti e studiosi, i nodi del modello tedesco stanno già venendo al pettine.
In alcuni paesi, come l’Italia, la Grecia e la Spagna, i persistenti deficit commerciali con la Germania hanno portato alla crisi che minaccia il futuro dell’eurozona.
La riduzione salariale ha portato la Germania a un basso livello di spesa interna e a uno scarso livello di importazioni. La spesa per i consumi è scena e oggi si attesta al 54% del PIL, a confronto del 69% in America e al 65% in Gran Bretagna.
Trump ha anche minacciato più volte di applicare i dazi sulle automobili tedesche importate negli Stati Uniti, l’elemento di esportazione più importante della Germania.
Dopo decenni di declino, il costo degli immobili aumenta il che implica che le retribuzioni non basteranno più come un tempo. Le istituzioni politiche che hanno determinato la compressione dei salari stanno perdendo consenso, come dimostrano gli ultimi risultati elettorali nei land tedeschi.
Infine, con la fine del Qe e con normalizzazione dei tassi di interesse, l’euro potrebbe rafforzarsi ponendo un freno all’export.
Nel frattempo, Berlino continua a far finta di nulla tappandosi le orecchie e chiudendo gli occhi…
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