L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha di recente stimato, attraverso il “Brexit Sensitivity Index” (BSI), le conseguenze che la Brexit avrebbe sui vari paesi dell’eurozona.
Questo indice è il risultato dell’interazione di una serie di fattori come le esportazioni verso il Regno Unito, le connessioni tra mercati finanziari, il livello degli investimenti diretti e flussi migratori.
Secondo gli analisti, sarebbero i cugini irlandesi (con un BSI pari a 3,4) a trovarsi maggiormente esposti alle ripercussioni dell’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’UE.
L’Italia (con un BSI pari a 0,3), invece, si troverebbe invece al penultimo posto seguita dall’Austria.
Secondo la Fondazione Bertelsmann, il Pil italiano potrebbe perdere tra lo 0,23% e lo 0,06%. Insomma nello scenario peggiore si avrebbe un calo valutabile in circa 4 miliardi di Pil.
Fonte: ilSole24Ore / S&P.
Tuttavia, questi valori previsionali rischiano di lasciare il tempo che trovano a fronte di una serie di contraccolpi inattesi che potrebbero verificarsi all’indomani della separazione tra Londra e Bruxelles.
Ovviamente, l’Italia non sarebbe indenne agli impati di un’eventuale Brexit.
Le vulnerabilità del nostro Paese riguardano principalmente le possibili ripercussioni sugli emigrati in Oltremanica o su coloro i quali pensano di andarci, gli effetti sugli scambi commerciali e sulle imprese, i contagi nei mercati finanziari e bancari ed infine i costi aggiuntivi di bilancio per il nostro governo.
Andando con ordine, occorre innanzitutto gettare un po’ di acqua sul fuoco visto che le eventuali trattative tra Londra e Bruxelles potrebbero terminare soltanto dopo il 2018. Almeno nel breve termine non ci dovrebbero essere, pertanto, grandi scossoni riguardo l’accordo tra la Gran Bretagna e l’UE sulla libertà di movimento e circolazione delle persone.
Per quanto riguarda i flussi turistici, pur non facendo parte di Schengen, la Gran Bretagna consente la libera circolazione di persone da e verso l’Europa e, dunque, ci sarebbero i ragionevoli presupposti di mantenere questo impianto anche nel post 2018. La sua messa in discussione sarebbe, infatti, controproducente alla stessa Gran Bretagna per un’evidente diminuzione degli introiti economici dal turismo.
Discorso a parte potrebbe essere rivolto a chi andrà in Gran Bretagna alla ricerca di lavoro o per frequentare studi universitari.
Nel primo caso, potrebbero essere introdotte delle condizioni per ottenere un visto che al momento non è previsto; nel secondo invece, quei circa 5000 studenti italiani che ogni anno si iscrivono alle università inglesi potrebbero veder lievitare il costo delle tasse annuali e la perdita di una serie di diritti quali prestiti studenteschi ed assistenza sanitaria gratuita. Infatti, in caso di Brexit, uno studente italiano dovrebbe pagare le stesse tasse fissate per gli studenti internazionali, che di solito sono almeno due volte più elevate di quelle previste per i cittadini britannici.
Sul capitolo dei rapporti commerciali, l’Italia ha un saldo commerciale positivo di 12 miliardi di euro (0,8% del nostro Pil) con la Gran Bretagna. Attualmente dal lato inglese, il 2,8% delle esportazioni britanniche sono dirette verso il nostro Paese, mentre dall’Italia proviene il 3,4% delle loro importazioni.
Questi numeri, purtroppo, rischiano di essere corretti al ribasso a causa di un’eventuale introduzione di barriere tariffarie e dall’indebolimento della sterlina.
Infatti, in meno di un anno, la valuta britannica ha già perso il 13% del suo valore rispetto all’Euro e potrebbe perdere un ulteriore 15-20% attestandosi vicino alla parità.
Non può essere di certo sottovalutata la variabile psicologica che innescherebbe contraccolpi ed insicurezze sui mercati finanziari e sulle interconnessioni tra Milano e Londra.
Già da alcune settimane, le principali Piazze europee stanno scontando gli effetti di un possibile Brexit con evidenti chiusure negative. Ma, una delle conseguenze trasversali della Brexit potrebbe essere un possibile aumento dello spread tra Bund e Btp, dovuto ad una richiesta di rifugio maggiore verso i bond governativi più stabili e sicuri. Secondo Francois Villeroy de Galhau, l’attuale governatore della Banque de France, sarebbe necessario un intervento d’emergenza della BCE, mentre secondo Ignazio Visco il rischio maggiore è quello di un effetto domino da parte di altri membri dell’Unione.
Vari analisti sostengono invece che Milano e Parigi, potrebbero beneficiare di trasferimenti di attività finanziarie dalla City di Londra, che vedrebbe a quel punto ridimensionato il suo status di capitale finanziaria del Vecchio Continente.
Infine, riguardo al capitolo dei contributi UE, l’Italia dovrebbe sostenere un extra costo annuale di un miliardo e quattrocentomila euro come quota che graverebbe sui singoli paesi Ue a copertura dei mancati proventi d’Oltremanica.
Come abbiamo capito, la data del 23 giugno rappresenta lo spartiacque decisivo per tracciare gli scenari economico-politici dell’Unione Europea.
Chiaramente, in un clima dove l’incertezza la fa da padrone, e i costi sarebbero maggiori dei benefici, banchieri centrali e governi auspicano una vittoria del “Bremain”, e cioè della partecipazione della Gran Bretagna all’Unione.