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“FUGA DAI TITOLI DI STATO”: PERCHÉ I RISPARMIATORI ADESSO SCELGONO I FONDI COMUNI?

Dagli anni della Grande Crisi le scelte d’investimento dei risparmiatori italiani sono mutate, addirittura l’Italia ha mostrato nel confronto internazionale la più intensa ricomposizione del portafoglio finanziario delle famiglie. Quali sono le cause? E come sono mutate le preferenze in materia di investimenti delle famiglie italiane?

di Elisabetta Villa - 24 Maggio 2016 - 5'

Dagli anni della Grande Crisi le scelte d’investimento dei risparmiatori italiani sono mutate. La società di consulenza Prometeia, ha dichiarato che “l’Italia ha mostrato nel confronto internazionale la più intensa ricomposizione del portafoglio finanziario delle famiglie”. Prima di capirne il perchè, occorre fare un passo indietro.

Il 2010 è stato l’anno spartiacque per il mercato dei titoli di stato, a causa della decisione della coppia Sarkozy-Merkel di far partecipare, in stile bail-in, anche gli investitori privati ai salvataggi degli Stati in crisi. Tale scelta colpì principalmente i paesi più fragili dell’eurozona scatenando il decollo dei rendimenti sui bond e allargando il differenziale (spread) con i bund tedeschi.

Per prevenire il collasso del nostro Paese nel 2011-2012, nella pancia delle banche italiane confluirono 200 miliardi di titoli di stato, dopo le massicce vendite provenienti dagli investitori esteri.

Da quei giorni le cose sono un po’ cambiate; ma se la febbre dei tassi è stata pressoché curata grazie al QE, l’esposizione (pari, secondo la BCE, a 455 miliardi a febbraio 2016) delle banche italiane verso i titoli di stato (prevalentemente italiani) si è ingigantita grazie ad un costo del finanziamento del denaro dalla BCE minore rispetto ai rendimenti dei bond.

E le famiglie invece? Dove hanno investito i loro risparmi?

Nel 1997, prima dell’avvento dell’euro, i titoli di stato rappresentavano la principale scelta d’investimento delle famiglie che ne detenevano circa il 35% dell’ammontare in circolazione.

Secondo un recente rapporto della Banca d’Italia, nel 2008 le famiglie italiane possedevano il 20% dei titoli di Stato negoziati e cioè circa 260 miliardi su uno stock in circolazione pari a 1300 miliardi; mentre oggi ne detengono soltanto il 5% e cioè 94 miliardi di titoli di Stato su uno stock pari a 1.860 miliardi.

Da segnalare è inoltre la sostanziale perdita d’appeal delle famiglie nei confronti delle obbligazioni governative.

Se nel 2008 la quota di titoli di Stato era pari al 7,3% sul totale investito dalle famiglie, a fine 2015 questa era scesa al 3,1%.

Il disinvestimento in bond governativi è da attribuire in primo luogo all’era dei tassi troppo bassi o addirittura negativi. Secondo le stime di Tradeweb, il 21,85% dell’intero stock di titoli Stato italiani offre oggi rendimenti negativi.

Aggiungendo a tutto ciò, le ferite ancora aperte del default argentino, della ristrutturazione greca e delle perdite da obbligazioni bancarie subordinate, i risparmiatori italiani preferiscono impiegare i loro risparmi verso altri forme d’investimento. Le alternative non possono di certo essere rappresentate dalle forme di deposito in banca poiché oltre a non rendere nulla, si rischia anche di incorrere nel rischio del bail-in per le somme eccedenti i 100.000 euro.

Il processo di riallocazione dei risparmi sta avvenendo con una migrazione dai titoli di Stato e dalle obbligazioni bancarie verso i fondi comuni d’investimento.

Negli ultimi anni, il patrimonio in gestione dei fondi comuni è balzato da un minimo toccato a 820 miliardi nel 2008 agli attuali 1.857 miliardi di euro. In particolare, nel primo trimestre del 2016 sono stati raccolti 27,5 miliardi di euro.

I fondi comuni sono strumenti molto utili che consentono al risparmiatore di diversificare il suo investimento evitando di concentrare i propri risparmi nei titoli di pochi o di un unico emittente e di incorrere nella perdita definitiva di parte o tutto il capitale in caso di fallimento (default).

Di fondi comuni ne esistono di diverse categorie in base alla loro caratterizzazione settoriale e geografica: azionari, bilanciati, obbligazionari, liquidità e flessibili.Ovviamente è molto importante avere in mente alcune accortezze quando ci si avvicina al mondo del risparmio gestito. Soprattutto è importante capire se chi ci vende il prodotto lo fa nel suo interesse o nel nostro. Più volte in questo blog abbiamo parlato dei conflitti di interesse delle banche che spesso vendono prodotti della casa, ricevendo in cambio grosse e grasse commissioni.

In un recente grafico pubblicato dal Sole24ore, si mostra l’evoluzione dell’investimento nelle diverse categorie di fondi dal 2003 ad oggi. Si segnala in particolare una sostanziale crescita dei sottoscrittori di fondi flessibili(a fondi a cedola in particolare), e una delle ragioni purtroppo non è legata ai bisogni dei risparmiatori.

Se da un lato dunque il campanello d’allarme dei tassi a zero o negativi ha risvegliato i risparmiatori italiani dall’altro è necessaria una maggiore consapevolezza nell’impiego dei propri risparmi.

Per muovere i primi passi nel mondo degli investimenti potete scaricare questo manuale di autodifesa contro il maltrattamento dei soldi.

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