I fondi a cedola sono la categoria di prodotti di risparmio gestito che raccoglie di più negli ultimi anni. Durante il 2017 sono però anche tra i fondi che vedono i maggiori riscatti. Se a prima vista ciò potrebbe sembrare fisiologico (è normale che un fondo con un patrimonio rilevante abbia molta raccolta e molti riscatti, in termini nominali), considerando le caratteristiche dei fondi a cedola, potrebbe non essere così scontato. Vediamo qualche ipotesi che potrebbe spiegare quanto sta accadendo.
I dati di Morningstar pubblicati da Fundspeople dicono che i fondi a cedola sono ben rappresentati tra i prodotti che raccolgono di meno, ossia quelli con più riscatti dall’inizio dell’anno. Ci sono diversi motivi che potrebbero spiegare la scelta di un risparmiatore di riscattare un investimento. I fondi a cedola però, per loro natura, poco si prestano a ondate di rimborsi da parte dei sottoscrittori. Sono infatti prodotti che nascono, hanno una finestra di collocamento durante la quale viene concentrata tutta la raccolta; una volta terminato il periodo di collocamento non sono previste nuove sottoscrizioni. È possibile invece riscattare prima della scadenza pagando però una commissione di uscita (su questo punto vale la pena approfondire perché non è del tutto corretto, ma per il momento diciamo che è quanto il risparmiatore spesso crede di fare). Nel caso particolare di questi fondi dove si osservano i riscatti, colpisce il fatto che tutti i fondi a cedola sono di nuova istituzione, quindi i capitali sono investiti da uno o due anni, non di più. I fondi a cedola hanno spesso una scadenza predefinita, molto chiara al risparmiatore, tale per cui chi decide di sottoscrivere il fondo ritiene che l’orizzonte di investimento del fondo sia compatibile con le proprie esigenze.
Succede insomma, in misura decisamente massiccia, che dei risparmiatori che hanno sottoscritto negli scorsi anni prodotti a cedola che sono ancora lontani dalla loro data di scadenza, abbiano rimborsato, pagando una commissione di uscita. Ecco qualche ipotesi circa le motivazioni che potrebbero aver spinto i risparmiatori a questa scelta.
Ipotesi “a pensar bene”
Dal momento che questi fondi sono investiti tipicamente in obbligazioni europee, che hanno visto un sostanzioso incremento di prezzo negli ultimi due anni, soprattutto fino ai primi mesi del 2015, i risparmiatori potrebbero aver scelto di realizzare i profitti vendendo il fondo. Perché questa scelta si rivelasse vantaggiosa però il rendimento accumulato (al netto delle tasse) doveva essere superiore alla commissione di uscita a cui si andava incontro.
Un’altra ragione plausibile potrebbe essere che il movimento realizzato dal fondo ne ha aumentato la volatilità, facendone un prodotto non più adatto a una parte della clientela, forzandone quindi la vendita.
Ipotesi “a pensar male”
L’ipotesi malfidente sposta l’attenzione dall’interesse del cliente a quello della società di gestione e delle banche collocatrici. Data la struttura dei costi di questi prodotti è infatti specifico interesse delle reti di collocamento che il prodotto venga sottoscritto, più che mantenuto in portafoglio. Questo perché i fondi a cedola hanno tipicamente delle commissioni di gestione basse, in linea con la gestione minima che richiedono, spesso non hanno commissioni di performance, ma fruttano invece alle banche collocatrici laute commissioni di collocamento. All’avvio di un nuovo fondo infatti viene prelevato dal patrimonio appena versato dai clienti l’intero ammontare delle commissioni di collocamento che vengono solitamente retrocesse a chi ha venduto il fondo, la banca o il promotore. Se la banca lasciasse quindi il cliente investito in un fondo a cedola fino alla scadenza, per poi spostare l’investimento verso un altro fondo a finestra, incasserebbe la commissione di collocamento ogni cinque anni circa. Se invece consigliasse al cliente di uscire anticipatamente dal fondo in cui è investito per entrare in uno in collocamento in quel momento, incasserebbe commissioni non più ogni 5 anni, ma ogni due o tre, massimizzando in questo modo i ricavi.
Non abbiamo modo purtroppo di raccogliere un campione significativo di sottoscrittori e indagare le ragioni che li hanno spinti, o per cui sono stati spinti, a riscattare i fondi a cedola in cui avevano investito solo pochi anni fa. Soprattutto, non abbiamo alcun dato sul prodotto su cui i risparmiatori hanno eventualmente investito, una volta usciti da questi strumenti. Le riflessioni di cui sopra sono però un utile esercizio per chiunque si sia trovato in una situazione simile, e un incentivo a chiedersi ogni volta se l’operazione che ci viene proposta da chi ci aiuta a prenderci cura nei risparmi sia davvero nel nostro interesse o nel suo.