Da pochi giorni Poste Italiane è un’impresa quotata e scambiata in Piazza Affari. Recentemente il settimanale inglese The Economist ha dedicato alla quotazione del gigante delle poste un articolo intitolato “Post apocalypse”, mettendo in luce punti di forza e di debolezza di Poste Italiane. Decisamente, per Poste Italiane, le poste non sono un punto di forza.
Poste Italiane, società che gestisce il servizio postale in Italia, ha avviato questa settimana il road show per la quotazione in Borsa. La quotazione riguarda più del 40% dell’azienda. L’operazione, che dovrebbe raccogliere tra i 7,8 e i 9,8 miliardi di euro, mette in vetrina l’Italia stessa. Si tratta della più grossa quotazione del paese in 16 anni ed è la prima scintilla di un programma di privatizzazioni che il governo spera dia un segnale di rinnovamento agli investitori esteri. Offre inoltre un’altra opportunità al settore postale, dopo le quotazioni di altri operatori europei e appena prima di quella di Japan Post, di convincere gli investitori che imprese la cui attività tradizionale è in crisi, hanno ancora un futuro.
A causa del dominio delle email e di altre forme di messaggistica elettronica, il numero di lettere spedite nell’Unione Europea è crollato da 108 miliardi nel 2008 a 86 miliardi nel 2013, secondo quanto riporta la Universal Postal Union, un’agenzia delle Nazioni Unite. La contrazione continua, dice la banca Barclays, ad un ritmo del 5% quest’anno. Tale declino rende ancora più difficile per gli operatori offrire servizi postali trasversali lungo tutto il territorio di competenza.
Poste Italiane è stata meno colpita dalla contrazione del business della spedizione di lettere rispetto ad altri operatori europei, per il semplice motivo che gli italiani hanno sempre inviato meno lettere rispetto, per esempio, ai francesi o agli inglesi: preferiscono parlare al telefono. Ma i volumi di invio di materiale pubblicitario si sono contratti durante la crisi dell’euro. E la riduzione è continuata da allora: i ricavi dell’azienda dall’attività postale sono scesi del 6,5% nella prima metà del 2015.
Se la spedizione delle lettere langue, quella di pacchi è florida. L’anno scorso, circa 4 miliardi di pacchi sono stati inviati ai clienti in giro per il continente da siti di e-commerce, in aumento rispetto ai 3,7 miliardi del 2013, secondo Ecommerce Europe, un’azienda del settore. Le attese per i ricavi dal commercio al dettaglio online sono di 477 miliardi di euro nel 2015 e di 540 miliardi nel 2016.
Altri operatori postali sono stati più rapidi di Poste Italiane a saltare sul treno dell’e-commerce. PostNL, in Olanda, ha lanciato CheckPay, un servizio antifrode per cui il pagamento da parte dell’acquirente viene eseguito solo una volta che il bene è stato consegnato. PostNord invece, il servizio postale congiunto di Svezia e Danimarca, ha creato un’offerta che permette alle imprese di inviare pacchi ai clienti nella regione scandinave facilmente come farebbero i privati.
Poste Italiane è stata più lenta. Detiene una quota del mercato dei pacchi di solo il 12%, mentre altri servizi postali nazionali tipicamente ne controllano il 40-50%. Non è stata posta attenzione sufficiente a questo mercato, ammettono i suoi dirigenti, ma c’è la volontà di recuperare il terreno perduto. È stato chiuso un accordo con Amazon per consegnare i pacchi e permettere ai destinatari di recuperarli all’ufficio postale. L’impresa sta anche cercando altri modi per sfruttare la sua rete di distribuzione: ha, per esempio, avviato un progetto pilota a Siena per consegnare medicinali nelle case dei pazienti. Per ridurre i costi, a Poste Italiane è stato concesso di ridurre il servizio a un giorno sì e uno no in alcune aree del territorio – una forte deviazione dal principio di servizio garantito che regge negli altri paesi dell’Unione.
Tuttavia, il punto di forza di Poste Italiane non ha nulla a che fare con i servizi postali, che contano solo per il 14% dei ricavi e l’anno scorso hanno generato perdite per 504 milioni di euro. Il nocciolo dei ricavi proviene da servizi assicurativi (66%) e altri servizi finanziari (19%). Queste attività beneficiano della fiducia nell’istituzione e della sua vasta rete di 13.200 filiali sparse sul territorio (contro le 3.300 e 4.300 delle prime due banche del paese, rispettivamente Unicredit e Intesa Sanpaolo).
Facendo leva sui suoi clienti detentori di conti correnti, Poste Italiane ha spinto il collocamento di prodotti assicurativi e adesso punta a espandersi verso il settore del risparmio gestito. Ad aprile, Poste Italiane ha acquistato il 10% di Anima, una società di gestione del risparmio. L’idea è quella di proporre prodotti di investimento con rendimenti migliori di quelli offerti dai titoli di Stato (che rappresentano il 13,4% della ricchezza degli italiani, contro una media europea del 4,9%). L’opportunità di mettere mano al grande stock di risparmi delle famiglie, in un momento in cui i risparmiatori sono alla ricerca di rendimenti, è il principale messaggio che viene comunicato nell’ambito del road show dell’azienda.
Questi servizi non postali sono quello che rende possibile immaginare di quotare un pezzo di quello che altrimenti sarebbe un gigante accumula perdite. Il fatturato totale di Poste Italiane è cresciuto del 7% a 16 miliardi e il risultato operativo è cresciuto del 26% a 638 milioni nella prima metà del 2015. Dal momento che le grandi società quotate sulla Borsa Italiana sono poche e alla luce di accenni di uno scenario macroeconomico lievemente positivo, l’azienda potrebbe rivelarsi un investimento interessante per chi crede in una ripresa dell’Italia. Gli investitori potrebbero anche essere sedotti dalla promessa del pagamento di dividendi pari almeno all’80% dei profitti netti negli anni 2015 e 2016. La domanda iniziale per la quotazione è stata elevata. Solo, non menzionate i servizi postali.