Giorni fa ho invitato Jared Diamond a presentare il contenuto del suo prossimo libro al mio istituto. Jared Diamond è autore di une serie di libri di notevole successo tra cui il premio Pulitzer “Armi, acciaio e malattie” che traccia una fantastica storia dell’evoluzione dell’umanità negli ultimi 13 mila anni. Egli è forse il ricercatore che oggi meglio rappresenta lo scienziato senza confini. È antropologo, geografo, storico, fisiologo, linguista, si è occupato di biologia evolutiva, genetica ed ecologia. Non smette mai di apprendere: a 78 anni sta studiano italiano e per praticare ha tenuto la sua presentazione nella nostra lingua. Il libro in preparazione tratta un argomento di notevole interesse: le crisi. Quelle individuali e quelle collettive, che investono interi paesi. Promossa da AcomeA, nell’ambito del progetto “La verità vi prego sul denaro”, in questi giorni è in scena “2007-2015: odissea nella crisi. Capire il passato per navigare il presente”, una rappresentazione teatrale della grande recessione e dei suoi lasciti. Le tesi del prossimo libro di Jared Diamond capitano quindi in un momento propizio. Il libro di Diamond non è su cosa genera le crisi. Un suo lavoro precedente (“Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere”) tratta questo argomento.
La domanda che si pone nel nuovo progetto è cosa consente di superare le crisi di un individuo e di una comunità. Per una persona la causa può essere una separazione, la morte di un genitore o ancor peggio di un figlio, la perdita del lavoro, o – rimanendo in temi di finanza – il fallimento della propria azienda o la perdita dei propri risparmi come ad esempio è accaduto agli anziani vittime di Madoff. Per un paese, un periodo di isolamento, il tracollo dovuto alla burocratizzazione, come avvenne all’impero Austro-Ungarico, la perdita di competitività del proprio sistema etc.
La sua idea è che la crisi si supera se la persona che la subisce è disposta a fare dei cambiamenti. Ma non cambiamenti generici, piuttosto cambiamenti selettivi. Non tutto deve essere abbandonato, anzi non deve; solo quello che non funziona e che ostacola il passaggio al nuovo regime. Sono questi cambiamenti che consentono di passare dal precedente stato equilibrato a uno stato nuovo superando la crisi. La selezione può essere dolorosa psicologicamente e quindi dura da implementare. Ad esempio, di fronte al fallimento dell’impresa, può essere duro riconoscere che non si è adatti a fare l’imprenditore perché, ad esempio non si sa gestire il personale, accettare un lavoro da dipendente e rinunciare alla indipendenza che gestire una impresa consente. Riconoscere davanti a se stessi che non si è capaci a gestire le persone non significa negare se stessi, solo un pezzetto conservando tutto il resto intatto. È questo il cambiamento selettivo. Ma chi riesce a fare meglio questa transizione e superare la crisi? Diamond individua diverse caratteristiche: la flessibilità, la disponibilità a ricevere aiuto, la tolleranza dell’incertezza (quando si recidono caratteristiche/legami/prassi/comportamenti si recidono certezze e si va incontro a novità di cui è difficile anticipare i contorni), il senso dell’io e il convincimento di poter riuscire se ci si impegna. Questi ingredienti hanno un valore intuitivo che quelle che rendono più facile superare le crisi collettive quando sono rinvenibili nelle loro classi dirigenti. La risposta del Giappone nel gennaio del 1868 alla crisi scatenata dalla scoperta dell’enorme gap tecnologico provocato da decenni di isolamento illustra bene il problema. Il paese rispose con una serie di cambiamenti selettivi, adottando un nuovo sistema giuridico centrato sul codice napoleonico, riorganizzando l’esercito secondo il modello prussiano, allora all’avanguardia, mutuando il sistema scolastico americano e aprendo l’economia al commercio. Erano cambiamenti selettivi di notevole portata; selettivi perché non tutto fu abbandonato. Infatti, il potere imperiale, con la restaurazione Meiji, fu consolidato e fu uno degli ingredienti del successo riformatore. Ma alla lista dei tratti citati ne manca uno, quello essenziale. La presa di coscienza della crisi e dei suoi confini. Se non si riconosce che ha confini limitati, si può essere travolti e non avere la forza di affrontarla. Se la si rimuove negandola e nascondendosi come lo struzzo la si perpetua. C’è in tutto ciò una lezione per l’Italia? Sì, riassunta nel grafico sotto che mostra un indice della produzione del paese (pari a 1 nel 2008) e delle proiezioni per gli anni dopo il 2014.
Per anni la crisi è stata negata dai governi, a volte sostenendo che fosse altrove. Il grafico mostra che è stata pesante (persi oltre 10 punti di produzione tra il 2008 e il 2014), lunga e che la rimonta sarà lenta: anche crescendo al 2% all’anno, i livelli del 2008 verranno recuperati sono nel 2021! Possiamo fare di più come collettività? Sì se si fanno i cambiamenti selettivi. Ma prima bisogna interiorizzare bene il grafico della produzione che riassume il nostro passato e traccia il nostro futuro se continuiamo a negare la crisi presente.