Il biglietto si paga all’ingresso (e poi anche dentro). Le commissioni di ingresso, o di sottoscrizione, sono il più classico, conosciuto e riconosciuto dei costi legati ai fondi comuni di investimento. Vale la pena però chiarire alcuni punti per evitare brutte sorprese e scegliere al meglio per i nostri risparmi.
Le commissioni di ingresso sono un costo pagato al momento della sottoscrizione di un fondo comune in misura proporzionale al capitale investito. Tale costo varia, per i fondi comuni, tra il 2% e il 4% a seconda della tipologia del prodotto ed è di competenza del distributore, la banca o il promotore.
Facciamo un piccolo passo ulteriore per capire l’impatto che la commissione di ingresso ha sul nostro investimento. Immaginiamo di investire 5.000 euro in un fondo azionario e che all’investimento sia applicata una commissione di sottoscrizione pari al 4%. Dei 5.000 euro versati, solo 4.800 sono investiti. 200 euro vengono infatti trattenuti come commissione di ingresso. L’impatto di questa commissione si trascina però ben oltre il momento iniziale, in cui è pagata. Per recuperare l’intero capitale versato, i 5.000 euro iniziali, avremo bisogno di un rendimento al netto delle commissioni annue pagate (di gestione e di performance) superiore alla commissione di ingresso. Nel nostro esempio, il primo 4,2% dell’eventuale rendimento servirà appena a ripagare la commissione di ingresso e a riportare il nostro capitale al valore versato inizialmente.
La commissione di ingresso riduce quindi l’ammontare del mio capitale investito, limitando così il potenziale di apprezzamento e l’effetto degli interessi composti.
A ciò si aggiunge la beffa del fisco. Avendo noi investito 4.800 euro, e non i 5.000 versati, è a partire dal primo valore che si calcolano le plusvalenze in caso di realizzo. Se dovessimo infatti decidere di riscattare il nostro investimento dopo una performance di oltre il 4%, con un valore del capitale pari a 5.000 euro, ci troveremmo a pagare la tassa sui redditi da capitale con un’aliquota del 26% sulla supposta plusvalenza, per un ammontare pari a circa 50 euro.
Insomma, la commissione di ingresso è pagata una volta sola, ma i suoi effetti si protraggono nel tempo e influiscono in maniera significativa sul risultato netto dell’investimento. Al pari di altri costi, anche questa commissione deve essere tra gli elementi presi in considerazione al momento della scelta del prodotto di investimento e dell’intermediario. C’è poi a riguardo un’importante nota da fare: le commissioni di ingresso sono applicate a discrezione del collocatore (la banca o il promotore) e sono scontabili, anche totalmente. È sempre più frequente infatti la prassi per i collocatori di azzerare le commissioni di ingresso come leva commerciale, quindi vale la pena contrattare questo costo. Ovviamente il lavoro del professionista che ci segue nelle nostre scelte di investimento merita di essere remunerato, cosa che già avviene annualmente per mezzo di una quota delle commissioni di gestione che vengono appunto retrocesse dalle SGR a banche e promotori che collocano i loro prodotti.
Se sui fondi comuni le commissioni di ingresso stanno diventando meno frequenti, proprio perché ben visibili e invise al risparmiatore, rimangono invece molto diffuse su quei prodotti caratterizzati da vantaggi fiscali, come i fondi pensione o le polizze unit-linked. A fronte dell’incentivo fiscale il cliente è più propenso ad accettare il pagamento di una commissione di ingresso (anche molto elevata, come può accadere per alcune polizze). Resta vero però quanto scritto sopra. Scegliendo tra prodotti simili, conviene sempre al risparmiatore indirizzarsi verso il prodotto senza commissioni di ingresso, in quanto più redditizio (a parità di altre condizioni).
Da ultimo, ma decisamente non per importanza, è bene aver presente un fenomeno che sta dilagando negli ultimi anni: quello delle commissioni di collocamento. Proprio perché le commissioni di ingresso sono difficili da far pagare, la fervida industria italiana del risparmio gestito ha inventato in anni recenti le commissioni di collocamento, che hanno lo stesso effetto delle commissioni di ingresso, con l’enorme differenza di essere invisibili al risparmiatore e non scontabili. Insomma, se qualcuno vi proponesse un fondo comune con le commissioni di collocamento (tipicamente un fondo a cedola con la finestra di collocamento) evidenziando il fatto che non ci siano commissioni di ingresso, alzatevi e cambiate consulente.