Quante volte abbiamo sentito dire che la fine della crisi economica è vicina? Quanti enfatici proclami o previsioni ottimistiche hanno occupato le prime pagine dei giornali prevedendo l’uscita da un tunnel in cui l’economia italiana è da troppo tempo intrappolata? Eppure alla fine bisogna fare i conti con i dati. I numeri non mentono, così almeno si dice. E sono i numeri che ancora una volta raccontano una realtà diversa per i risparmiatori italiani.
Quello che ci raccontano i dati di Banca d’Italia, elaborati da uno studio di Unimpresa, è un sistema economico che stenta a riprendere ritmo con il credito a imprese e cittadini sempre più inaccessibile, consumi bloccati e investimenti fermi al palo.
Stando ai dati, nel solo ultimo anno le riserve degli italiani (intesi come aziende, cittadini, istituti di credito, onlus, assicurazioni e fondi pensione) sono passate da 1.477,7 miliardi a 1.558,4 miliardi in salita di 80,7 miliardi (+5,46%). Se si considerano solo le famiglie, l’incremento è stato pari a 15 miliardi (+1,7%). Sono cresciute di conseguenza le riserve degli istituti di credito, aumentate di 42,7 miliardi e passate da 321,4 miliardi a 364,1 miliardi (+13,30%).
Purtroppo il circolo vizioso non si ferma. Le banche infatti, nonostante l’accresciuta disponibilità, si sono astenute dall’immettere maggiori risorse nel sistema produttivo. I finanziamenti al settore privato, di quasi tutti i tipi e durata, nell’ultimo anno sono infatti diminuiti di oltre 7 miliardi. Questo stallo del sistema bancario ha enormi implicazioni l’economia italiana. Le imprese italiane dipendono quasi esclusivamente dalle banche per i propri bisogni di finanziamento, più della media europea e molto più degli Stati Uniti. Sono infatti pochissime le imprese domestiche che hanno accesso diretto al mercato dei capitali tramite l’emissione di obbligazioni, in quanto il sistema industriale italiano è caratterizzato da imprese piccole e spesso a gestione familiare.Un maggior ricorso del sistema industriale al mercato dei capitali è sicuramente da incoraggiare, ma questo non rimpiazza quello che è il ruolo primo del sistema bancario
Tornando agli italiani questi hanno aumentato le riserve detenute nei propri conti correnti di circa il 10% per un totale di oltre 70 miliardi di euro.
Le motivazioni di fondo sono purtroppo quelle che leggiamo da anni a cui si sommano anche gli effetti di scelte più o meno condivisibili del governo in materia fiscale. Lo studio dell’associazione mette mostra come da giugno 2014 al giugno 2015 gli italiani abbiano ancora una volta risposto alla paura di nuove tasse, di spese impreviste e di una nuova recessione diminuendo i consumi e aumentando i risparmi. La reazione non è di per sé errata, o almeno non lo è in parte, poiché se a fronte di incertezze la scelta di risparmiare di più appare sensata, meno lo è se si pensa che nell’ultimo anno i cittadini italiani abbiano deciso di congelare in maniera inefficiente i propri risparmi all’interno del sistema bancario.
Non scopriamo certo oggi la passione degli italiani per la liquidità. Da sempre avversi al rischio la scelta di continuare a detenere la maggior parte della propria ricchezza finanziaria liquida ha però diversi effetti collaterali spesso trascurati e forse sconosciuti ai più in termini di rendimento reale, di costo opportunità e di tassazione.
La crisi economica ha avuto un forte impatto sulle finanze delle famiglie, che hanno spesso visto contrarsi il proprio reddito disponibile, e ha aumentato le insicurezze favorendo quindi la quiete del conto corrente. Tuttavia, quello che osserviamo da questi dati è un effetto perverso: i soldi ci sono ma non circolano. In questo modo è difficile vedere veramente la luce in fondo al tunnel.