È difficile dare un’interpretazione univoca di cosa sia il rischio finanziario. Per alcuni è la possibilità di perdere dei soldi. Per altri è il rischio di incorrere in prodotti costosi. Potrebbe però anche essere un fattore di incertezza che permette di ottenere rendimenti maggiori. Di certo, la diversa percezione di questo concetto tende a tradursi in diverse scelte di investimento.
Da una recente ricerca di Consob, dal titolo “Report on financial investments of Italian housholds“, emerge chiaramente come una forte avversione al rischio domina la percezione dei mercati finanziari e le scelte di investimento. Per metà dei risparmiatori il rischio finanziario è associato all’idea di poter subire delle perdite del capitale investito. A seguire, per ordine di rilevanza nelle risposte, troviamo l’esposizione ai trend di mercato, i rendimenti inferiori alle attese e la volatilità degli stessi. La paura di essere vittime di frodi è rilevante per l’11% degli intervistati. Meno del 10% associa il rischio all’impossibilità di disinvestire o alla possibilità di non capire le informazioni finanziarie.
È interessante vedere come la percezione del rischio vari molto a seconda dell’educazione finanziaria del rispondente, come si osserva dal grafico sottostante, in cui vengono evidenziate le risposte del sotto campione di risparmiatori con un’ottima conoscenza finanziaria e quelle con dei soggetti con una pessima conoscenza finanziaria. Osserviamo che per i primi il rischio è legato soprattutto alla difficoltà di monitorare il proprio investimento, mentre per i secondi è associato all’ottenere ritorni inferiori alle attese e ad avere perdite.
Il quadro complessivo che emerge è, come dicevamo, quello di una diffusa avversione al rischio. È stato infatti chiesto agli intervistati quale forma di investimento preferissero tra un investimento che avesse un rendimento atteso del 20% in un anno, con una probabilità del 50% di perdere parte del capitale, uno con un rendimento atteso del 6% e la probabilità del 20% di incorrere invece in perdite, oppure un investimento con un rendimento del 2% annuo e la certezza di non riportare alcuna perdita. Oltre il 70% degli intervistati propende per l’ultima ipotesi. Solo il 7% del campione dichiara che sceglierebbe l’investimento che offre un rendimento atteso maggiore ma anche una buona probabilità di perdere qualcosa.
Questa impostazione si riflette chiaramente nelle scelte finanziarie degli italiani. Oltre il 30% della ricchezza finanziaria è rappresentata da liquidità sui conti correnti e depositi postali e bancari. Delle obbligazioni detenute direttamente dalle famiglie la metà sono obbligazioni bancarie e un 30% sono titoli di Stato italiani. È pressoché nulla la presenza di azioni di società quotate nei portafogli di investimento.
Razionalmente, il rischio è una caratteristica imprescindibile di ogni investimento, così come di ogni progetto imprenditoriale. È sia la possibilità di ottenere esiti variabili dall’investimento, sia una componente indispensabile per aver rendimenti maggiori nel lungo periodo. Non è quindi detto che tentare di rifuggire completamente l’esposizione al rischio sia la scelta migliore nella gestione dei risparmi. Non lo è innanzitutto perché neanche un conto corrente è del tutto privo di rischio. Se infatti aumentasse l’inflazione, i risparmi accumulati sul conto corrente subirebbero una perdita di potere d’acquisto. Inoltre, la recente revisione della normativa potrebbe prevedere il coinvolgimento dei correntisti nel caso di fallimento di una banca. Anche ammesso che l’inflazione non compaia e la banca non fallisca, la fuga dal rischio porta con sé un forte costo opportunità, quello del mancato rendimento che si sarebbe potuto ottenere investendo.
Non è detto insomma che il conto corrente o il buono fruttifero postale siano sempre, comunque e per tutti gli strumenti di investimento più adatti, purché si sia consapevoli del rischio a cui ci si espone, per evitare sorprese o avere in un secondo momento comportamenti controproducenti.