Un’Europa a due velocità. La periferia, caratterizzata da un elevato debito pubblico, bassa crescita, bisogno di riforme. Dall’altro lato la Germania, modello virtuoso di gestione dei bilanci pubblici e di riforme attuate al momento giusto. Sempre più dati ci dicono però che la locomotiva d’Europa scricchiola e sta rallentando, ponendo nuove sfide ma soprattutto creando opportunità per rivedere gli equilibri europei.
Gli imprenditori tedeschi si dicono meno ottimisti di un tempo sul futuro. A indicarlo è la riduzione dell’indice ZEW che misura le aspettative dei manager. Dall’inizio dell’anno la fiducia nell’economia tedesca è crollata, toccando i minimi da due anni. A questo dato se ne sono susseguiti diversi durante l’estate. La produzione industriale si è ridotta del 4% tra luglio e agosto e le esportazioni si sono contratte del 5,8%, registrando i cali più elevati degli ultimi cinque anni. Il rallentamento dell’economia tedesca ha visto la sua più ufficiale conferma nella revisioni delle stime del Governo sulla crescita. Il prodotto interno lordo tedesco dovrebbe continuare a crescere nel 2014 e 2015, ma del 1,2% e del 1,3%; ben lontani dai rispettivi 1,8% e 2% precedentemente stimati.
Nel commentare la revisione della stima di crescita gli esponenti del governo tedesco si sono appellati alla difficile situazione economica dei paesi circostanti, alle sanzioni alla Russia e all’instabilità proveniente dal Medio oriente. Sicuramente questi fattori hanno impattato ma quello che oggi è messo in crisi è l’intera impostazione di politica economica, tanto cara ai tedeschi.
La Germania degli ultimi dieci anni si caratterizza per un basso livello degli investimenti e per un elevato surplus delle partite correnti. In altre parole risparmia più di quanto investe. Questa impostazione si è ulteriormente rafforzata durante gli anni della crisi, con il perseguimento quasi maniacale della disciplina di bilancio. La competitività dell’industria tedesca ha invece garantito la possibilità di crescere esportando beni e servizi, anche a costo di mantenere artificialmente compressi i salari.
Oggi però questo modello di crescita mostra tutte le sue criticità. Per la Germania, dipendere così fortemente dalle esportazioni la rende vulnerabile al rallentamento della domanda globale, come si sta dimostrando in queste settimane. Per l’Europa e il resto del mondo, l’eccessivo surplus delle partite correnti importa deflazione e mina la crescita. Dal recente incontro del Fondo Monetario Internazionale diverse voci autorevoli, in primis dagli Stati Uniti, si sono alzate contro l’eccessivo squilibrio della bilancia delle partite correnti tedesca e contro la carenza di investimenti.
La forza dell’economia tedesca ha fornito negli anni scorsi la legittimazione per la Germania ad impostare politiche di austerità in Europa, elevando il paese a modello. Allo stesso tempo, la carenza di investimenti e la stagnazione dei salari hanno impedito la creazione e trasmissione al resto dell’area euro di un po’ di crescita e inflazione. Oggi, le cattive acque in cui la locomotiva d’Europa sembra impantanata, suggeriscono che le politiche necessarie per la Germania e quelle necessarie per l’Europa potrebbero coincidere.
Se la Germania investisse parte dei capitali che oggi raccoglie ad un costo bassissimo, rinunciando alla più ferrea parità di bilancio e lasciando aumentare i salari, creerebbe innanzitutto le premesse per la propria ripresa e, di riflesso, aiuterebbe le altre economie europee a uscire dalla crisi. Ci vorrà tempo perché l’opinione pubblica tedesca metta in discussione alcuni dei propri dogmi in fatto di politica economica, ma il constatare che la Germania e il resto d’Europa siano (quasi) sulla stessa barca, suggerisce che un cambiamento sia possibile.