“Sì ma… quanto ha reso l’anno scorso?”
Ogni volta che vogliamo fare una scelta di investimento chiediamo che rendimenti ha avuto negli ultimi mesi il titolo o il prodotto che stiamo valutando. Acquistare un titolo che recentemente ha registrato dei guadagni, ci dà sicurezza, mentre guardando un titolo in perdita siamo contenti di non averlo e ce ne asteniamo volentieri. Questa dinamica spinge sistematicamente gli investitori privati a comprare quando i prezzi sono alti e a vendere quando sono bassi, registrando inevitabilmente delle perdite. Tuttavia, in un mercato in cui i prodotti finanziari sono venduti e non acquistati, questa dinamica risulta essere la leva più spesso usata da venditori e consulenti per spingere i clienti a investire. Nei prodotti sbagliati.
Il settore degli investimenti è come una grande vetrina in cui tutti espongono le performance dei titoli che vogliono vendere. Si tratti di un titolo azionario, di un’obbligazione o di ETF, piuttosto che di un fondo di investimento, chiunque vi proponga l’acquisto, non mancherà di mostrarvi rendimenti passati positivi e rassicuranti grafici in salita. È lapalissiano che per ognuno il rendimento dei propri investimenti sia importante. Altrettanto ovvio è però constatare che acquistando un titolo che ha fatto il 20% in pochi mesi, l’unica certezza che si ha è quella di pagarlo il 20% più caro, mentre nulla è detto del suo rendimento futuro.
Comprare un’azione o un’obbligazione perché il prezzo è salito in maniera consistente, è sicuramente un errore da evitare. La stessa considerazione vale nel caso di un ETF, un fondo a gestione passiva che replica l’andamento di un mercato. Anche un singolo mercato, infatti, non è diverso in quest’aspetto da un singolo titolo: più ha reso nel periodo precedente più è caro.
Si può estendere lo stesso ragionamento ai fondi comuni di investimento? Sì e no, dipende.
Sì, perché i fondi che investono in un determinato mercato sono comunque soggetti all’andamento dello stesso.
No, perché nei fondi comuni, a differenza degli ETF, gioca un ruolo importante la gestione attiva, ossia tutte quelle scelte che compie il gestore con l’obiettivo di creare valore per i clienti. In quest’ottica una performance sistematicamente sopra benchmark, su diversi archi temporali e su diversi prodotti, può segnalare la validità del metodo di gestione applicato.
Dipende, insomma. È determinante capire qual è il grado di gestione attiva del fondo. Se, infatti, un gestore applica una gestione passiva o quasi-passiva, limitandosi a seguire un benchmark, allora il fondo si comporterà in modo molto simile a un ETF, ed è giusto quindi non comprarlo quando ha un buon rendimento (o forse non comprarlo mai. Perché pagare un servizio di gestione di un fondo che replica un indice? Ma questo è un altro capitolo). Viceversa, in un fondo dove i gestori lavorano per cercare di battere un indice, saranno questi a vendere ciò che ha avuto un buon rendimento e a comprare dove i prezzi sono interessanti. Ciò avviene in maniera più marcata nei fondi dove i gestori hanno più mercati tra cui scegliere i propri investimenti.
L’industria del risparmio gestito pone l’accento esclusivamente sui risultati ottenuti dai fondi, unendosi alle schiere di venditori di performance, tacendo invece caratteristiche essenziali del fondo. La performance futura di un fondo è imprevedibile, a differenza della struttura dei costi e dello stile di gestione.
Come capire se un fondo comune ha dei costi corretti per il servizio che offre? Mettere in relazione i costi sostenuti, non tanto con la performance passata ma con il grado di attività della gestione, sarebbe una buona idea. Sembra difficile, ma non lo è, se si hanno gli strumenti adatti. Angel Costi è un servizio utile per valutare i costi dei fondi comuni di investimento e il servizio che offrono; un grande aiuto per scegliere con cura dove investire i propri soldi, senza finire preda dei venditori di performance.