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(In)giustizia all’italiana: lenta e costosa

8 anni. È il doppio del tempo che passa tra due edizioni dei mondiali, o delle Olimpiadi. È anche il tempo che passa in media dall’inizio di un processo alla sua conclusione, in Italia. Il ritardo della giustizia civile non è solo un problema delle imprese che sono direttamente coinvolte da vicende giudiziarie, ma è un peso sulle tasche di ognuno di noi.

di Luigi Ripamonti - 22 Luglio 2014 - 4'

8 anni. È il doppio del tempo che passa tra due edizioni dei mondiali, o delle Olimpiadi. È anche il tempo che passa in media dall’inizio di un processo alla sua conclusione, in Italia. Il ritardo della giustizia civile non è solo un problema delle imprese che sono direttamente coinvolte da vicende giudiziarie, ma è un peso sulle tasche di ognuno di noi.

Con 2866 giorni di media, l’Italia guida la classifica dei paesi con la giustizia più lenta. La durata media dei processi, considerando tutti i gradi di giudizio, è quasi cinque volte quella mediana dei paesi OCSE. Significa che il 50% dei paesi del campione hanno una durata media del processo inferiore a un quinto di quella italiana. Anche considerando solo il primo grado di giudizio, i nostri 564 giorni di media ci portano al peggior posto della classifica.

Sicuramente per un’impresa che si trova a scegliere se affidarsi o meno alla giustizia per risolvere una controversia, piuttosto che per una che si trova già coinvolta in un processo, i tempi biblici della giustizia civile italiana costituiscono evidentemente un problema. Questo aspetto è però solo la punta dell’iceberg della questione, che comporta anche un enorme costo economico per tutta la collettività, per ognuno di noi.

La lunga durata dei processi rappresenta innanzitutto un freno agli investimenti, domestici ed esteri. L’inefficienza della giustizia è un costo diretto e una fonte di incertezza per il sistema produttivo. La giustizia civile è inoltre lo strumento principale per garantire la tutela dei diritti di proprietà che rappresenta una delle determinanti principali dello sviluppo economico di una regione. Il difficile e costoso accesso al sistema giudiziario hanno l’impatto diretto di ridurre gli investimenti dall’estero e anche quelli nazionali, e l’occupazione.

L’obiettivo di evitare di ricorrere alle vie legali prevale su quello di fare scelte efficienti. Lo stato disastroso della giustizia civile determina un cambiamento delle scelte quotidiane del sistema economico: non potendo far valere tutele giuridiche le imprese spesso finiscono ad esempio per relazionarsi con pochi fornitori con cui hanno rapporti di lungo corso, piuttosto che affidarsi al mercato, a costo di scegliere anche l’opzione più costosa. Il risultato aggregato di questo comportamento è un abbassamento della produttività generalizzato, o viceversa un aumento dei costi per i consumatori.

Qualche anno fa, Mario Draghi, allora governatore della Banca d’Italia, stimava il danno economico derivante dall’inefficienza della giustizia civile in circa un punto percentuale di PIL, pari quindi a 16 miliardi di euro all’anno. Il dibattito sulla giustizia è stato per anni ostaggio di fazioni politiche opposte, e nessuna di queste aveva a cuore l’efficienza del sistema. Oggi la necessità di rilanciare la crescita senza aprire una voragine nelle già distrutte finanze pubbliche deve riportare l’attenzione dell’opinione pubblica su quelle poche vie rimaste utili per stimolare crescita, investimenti e occupazione: una giustizia civile con dei tempi in linea con quelli di altri paesi potrebbe già fruttare qualche miliardo l’anno. Ma forse preferiamo continuare a scavare nelle tasche dei cittadini.

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